NON TUTTI I MAGHI VENGONO PER NUOCERE

PREAMBOLO

LA PIU' GRADE MAGIA DEL MAGO SALES: LA MIA VITA
(una realtà… non un'illusione… tanto meno una delusione)

Hanno detto che la vita è come una ruota e ad ogni giro avviene qualche cosa di nuovo. La ruota della mia vita è nata un po' bitorzoluta… ma nei suoi giri storti non sono mai mancate le novità. Ora, iniziando l'anno 2004, mi appresto a vederla ancora girare per il mio 60° anno d'età.

Mi domando: "Quale novità porterà questo nuovo anno di vita?". Anche se sono un mago, non ho il potere di conoscere il mio destino; tuttavia, bella o brutta che sia la novità della mia vita futura, credo di dover ringraziare il buon Dio per gli stupendi imprevisti accaduti fino ad ora e per tutte le vicende future.

In fondo la vita per me è stata ed è una stupenda avventura, vissuta tra sorprese e magie, a volte un po' dolorose, ma sempre affascinanti. Confesso di aver usato più l'incoscienza che la sana preveggenza. Ho seguito più le vie del cuore che quelle della ragione. Sono stato insofferente di molte regole… a volte anche di quelle della vita religiosa… ma non ho mai rinunciato di aiutare un piccolo della terra, anche solo annullando, per un istante, la sua paura e il suo dolore sostituendolo con un sorriso per una magia donata.

Se dovessi raccomandare qualche casa a un mio amico, gli raccomanderei la mia vita… quella passata come quella presente. Sono contento di aver scelto di "fare" l'artista mago e di aiutare così i piccoli della terra. Sono contento di "essere" prete e salesiano. Questa non è stata certo una mia scelta. E' stata una grazia di Dio e di Don Bosco… Tutti due dovevano avere una grande incoscienza per scegliere me.

Sono ancora tentato a pensare che, per un inspiegabile patto con la sorte, il tempo della mia vita non sia mai passato. Sono nato piccolo e sono rimasto piccolo. Ricordo il mio primo gioco: una scatola di giuochi di prestigio. Appena aperta mi sono messo a fare magie e da allora ad oggi non l'ho mai chiusa. Magari è stata aperta solo nella mia mente, quando i divieti e la necessità me lo impedivano. Ora, a distanza di molti anni sono ancora lì che ci gioco… e non mi pento.
Sono contento di esistere e di vivere così. Amo la vita e tutto quello che ci sta attorno.

Ringrazio i tanti che mi hanno aiutato a vivere la stupenda avventura della vita: i miei genitori, mio papà, Aldo, che non mi ha impedito di fare le scelte della mia vita e ha presentato il mio primo spettacolo ufficiale; mia mamma, Maria, che mi ha accompagnato all'altare di Dio e al sacramento della carità; mia sorella. Daria, che ha barattato la sua libertà con la mia, restando vicino alla malattia dei miei genitori; il mio vicino della porta accanto, Francesco, che mi ha regalato la prima scatola di giochi di magia; il bambino brasiliano, Paolino, incontrato nel mio primo viaggio per il mondo, che mi ha detto "Grazie" con un sorriso. Ringrazio gli amici prestigiatori che mi hanno insegnato la pazienza di inseguire un'illusione con l'arte della magia; i tanti benefattori che hanno contribuito a realizzare progetti e aiuti verso i poveri più piccoli, trasformando il sogno in realtà. Grazie a tutti i miei attuali collaboratori che, mettendo da parte invidie e pettegolezzi, dicono: "Oggi, cosa c'è di nuovo da fare?". Grazie ancora a tutte le persone: donne, uomini. bambini, confratelli e suore a cui mi sono affezionato e hanno avuto il coraggio di trattare un prete come un amico e dirmi: "Ti voglio bene".

Questa frase mi ha dato il coraggio di affrontare critiche e invidie, minacce e dissapori, insuccessi e perdite di persone care…

Dico grazie anche a quelli che, forse in buona fede, hanno cercato di ostacolarmi nelle mie scelte di vita, impedendomi di fare il mago, non certo di essere prete e religioso. Inconsapevolmente mi hanno fatto capire l'importanza di valori, quali il distacco affettivo dalle cose materiali. Inoltre hanno dato sapore e gusto ai piccoli successi ottenuti come una conquista, non come un freddo regalo. Hanno radicato in me la convinzione che si può sempre ricominciare… ogni giorno, ogni anno…. anche ora che ho 60 anni.

La pensione può attendere… Il Paradiso no… Se da questa vita nessuno ne esce mai vivo, che la morte mi trovi vivo più che mai. Questa è la più gran magia che auguro a tutti voi.


CAPITOLO PRIMO

IN PRINCIPIO FU IL MAGO


1944. 22 gennaio, primo giorno del calendario buddista. Nasco sotto il segno dell'Acquario… naturalmente da mia madre. In seguito diranno che mi hanno trovato sotto un cavolo nell'orto chiamato "Ciabot" a Novello, dove mio nonno è sindaco da più di trent'anni. Questa fu la mia prima educazione sessuale… In seguito non ricevetti smentite o aggiornamenti.

1945. Una pattuglia di tedeschi compie una retata per punire il gesto di un partigiano che aveva sparato su un plotone di passaggio. Io vengo preso con mia madre e messo al muro. Mi dissero che non piansi… pensavo che tutto fosse un gioco e sorrisi al tedesco che comandava l'esecuzione. Questo bastò a salvare me, mia mamma e il gruppo ormai rassegnato. Il Signore o forse un gesto di cuore o meglio un disobbedienza stabilì che si doveva e si poteva vivere in pace.

1946. Finisce la guerra. Si parte per Torino. Al paese prendevo il latte da una capra, che travestivano da nonna papera per paura che fosse rubata dai tedeschi o dai partigiani. A Torino, incominciai a mangiare più sofisticato: polenta con contorno di carne di capra. Allora mi sentii molto orfano.

1946. Frequento il primo anno di asilo già all'età di due anni. Era naturale. Condividevo l'affetto di nonni e genitori con mia sorella di nome Daria di un anno più matura di me. Allora quello che andava bene per lei, doveva andare bene anche per me. Mi sembrava di essere un'offerta speciale del supermercato: prendi due e paghi uno. Così già all'età di sei anni venni preparato per fare la prima comunione e la cresima… naturalmente insieme a mia sorella. I miei erano convinti di risparmiare, anche solo sulla fotografia.

1950. Primo giorno di scuola. Non ricordo nulla se non il set di matite colorate marca Carandage, regalate da zia Luigina. La mia vita cominciava a prendere colore. Zia Luigina sembrava rappresentare il modello tipico di una eroina da libro "Cuore". Era maestra e zitella, quanto bastava per essere onorata dai grandi della famiglia e sopportata dai piccoli come me. Infatti la zietta proiettava in me la realizzazione dei suoi sogni infranti di diventare preside o direttrice scolastica. Io invece non pensavo assolutamente di far carriera scolastica, anche se, a differenza di molti miei coetanei, a me piaceva molto "andare a scuola"… Anche "tornare da scuola" piaceva molto… Quello che stava in mezzo, tra l'andare e il tornare, non era di mio gradimento. La scuola sarà sempre per me come una medicina amara… peggio dell'olio di ricino, ma, in seguito, come ogni purgante somministrato al tempo giusto, mi farà molto bene. Ora cerco di salvare i bambini del mondo dalla strada, creando per loro borse di studio. Molti chiamano questo progetto: adozioni a distanza.

Le bocciature furono il mio blasone di ignominia. Ne raccolsi tre e pensai di entrare nel guinnes dei primati.

Ero molto timido, impacciato, imbranato. Come succede a tutti i ragazzini, mi ero innamorato di una bambina, vicina di casa, ma non mi dichiarai mai. Volevo diventare avvocato, ma in aula… "scolastica" facevo sempre silenzio. Il mio carattere divenne fonte di preoccupazioni, per i miei genitori. Mia madre ricorse alle medicine e alla religione: sciroppi a base di calcio e candele accese a Santa Rita, la santa degli impossibili. Poi una sera, mio papà, ragioniere, mi portò con se ad una seduta di condomino e li imparai tante parolacce. Le ripetei in famiglia e ricevetti un sonoro ceffone. La mia entrata nella società era traumaticamente cessata. Usai l'arma della fantasia per sopravvivere. Questa mi sarà compagna per tutta la vita. Avevo la mia camera dei segreti dove solo io conoscevo la password.

Siccome mia madre mi diceva sovente: "Sparisci… sparisci!", incomincia a pensare che da grande avrei fatto il mago.

1955. Intraprendo gli studi classici… Allora iniziavano con la prima media. Scuola Giovanni Pascoli di Torino. Studio del latino: "Mens sana in corpore sano". Per me la "sanità" fu solo di corpo, infatti fui bocciato in tutte le materie… eccetto in ginnastica. Questo mi fu utile per scansare i ceffoni dei miei genitori.

Poi… la quiete dopo la tempesta. Il mio destino era segnato. Venni iscritto a suola dai Salesiani.
Per tre anni tutto andò bene… eccetto la fuga con il circo.

1957. Durante l'estate a Novello, paese dei nonni, materni, venne il circo Camillo: in tutto tre artisti e quattro animali, ma sembravano un cast compiuto. Il proprietario, Camillo era un fachiro: si faceva sotterrare prima dello spettacolo. Poi percorrendo un passaggio sotterraneo, spuntava da dietro le quinte e compariva vestito da clown. Nel secondo tempo, non potendo fare la danza del ventre, per ovvi motivi, si travestiva da cosacco e faceva il domatore di capre. Al termine dello spettacolo si tuffava nuovamente nel passaggio segreto e veniva dissotterrato tra gli applausi del pubblico. Un successo. Dopo due giorni, quando il circo lasciò il paese. Mi nascosi nel carrozzone con un'ansia di libertà mai provata prima. Il sogno durò poco. Camillo era un brav'uomo, non un negriero. Dopo due ore ero nuovamente a casa dai nonni e nessuno, per anni, seppe mai nulla della mia prima scappatella.

1957. Nasce il mago "Mandrake". Così mi chiamai, quando allestii il mio primo spettacolo di magia. Mi ero preparato accuratamente. Avevo preso in prestito un vecchio piviale dalla sagrestia del paese e mi ero messo in capo un logoro copricapo berbero, trovato in soffitta, insieme alle spallina da caporale di zio Giacomo. La prima prova fu davanti al grande specchio della camera da letto dei miei genitori. Allora mi sembrava di essere grande… Ora, che grande lo sono, continuo a fare gli stessi giochi e mi sembra di essere piccolo.

Ma veniamo alla mia prima.

Se, giustamente si dice che chi ben comincia è a metà dell'opera, io penso di non aver mai visto la mia prima opera… Anzi non la vide proprio nessuno. Il pubblico fu completamente assente al mio debutto. Mi consolai pensando di averlo fatto sparire… e mi convinsi di avere dei poteri.

Nello stesso anno venne ad abitare nel nostro condominio a Torino, Francesco Corradi, n taxista che scriveva poesie, suonava la chitarra e faceva giochi di prestigio con le carte. Diventammo subito amici e mi trasmise la sua passione per il gioco dello scopone, insegnandomi alcuni basilari trucchi con le carte. In poche parole mi insegnò a barare. Facevamo coppia fissa nei vari retro bar del quartiere. La vincita era a volte la sola consumazione, ma la gioia di riuscire primi era di gran lunga superiore alla soddisfazione dei pochi spiccioli guadagnati. Di pari valore era la delusione dei perdenti che non riuscivano a capacitarsi come un pivello di adolescente c come me potesse risultare sempre vincente al re dei giochi di carte: lo scopone scientifico. Questo carosello di avversi sentimenti sarebbe durato a lungo se, per il troppo zelo, un giorno non feci apparire non uno, ma tre sette belli.
Era evidente che si barava. Ancora una volta la fuga fu la nostra salvezza… o meglio la mia.

Francesco, non più fresco negli anni e nei riflessi, fu preso e venne costretto a ingoiare un set completo di denari dall'asso al re. Era però un mago e sbalordì tutti perché riuscì a fagocitare dalla bocca un servizio di primiera, escluso il sette bello. Quello disse che lo avrebbe prodotto il giorno dopo e… non vi riferisco come…

1959. Termino il triennio dai salesiani all'istituto San Paolo di Torino. Terza media: promosso a giugno… Un avvenimento da celebrare. Ricevetti due premi: una bicicletta e l'iscrizione al primo anno del ginnasio al top delle scuole di Torino: il liceo classico di Valsalice, sempre dei Salesiani. Capii che, in entrambi i regali, avrei dovuto faticare. La mia vita da adolescente maturo si presentava in ascesa ma non era attrezzata con impianti di risalita.

A scuola, alla fatica del latino, si aggiunse quella del greco; un'altra lingua morta ed io ne divenni il killer. Nel primo compito in classe presi un voto che sfiorava le centinaia: 54 sotto zero. Il professore mi disse che avevo assassinato il greco e il latino.

A nulla valse prendere ripetizioni quattro volte la settimana Avrei fatto meglio a iscrivermi ad un corso per sopravvivenza o meglio "indifferenza" ai consigli dei miei professori. Mi dissero che non avrei mai combinato nulla di buono nella vita, che ero il disonore di quella scuola benemerita… che non trattenevo nulla di quello che mi veniva insegnato.

Anticipando un principio di quello che sarà la società dei consumi, incominciai ad avere il complesso del "vuoto a perdere". Pensai al suicidio e volevo farlo in modo "colossal" non certo banale. Ma prima ero deciso a far vedere a tutti gli uccellacci del malaugurio che nella vita ognuno è importante e ha il diritto di esserlo.

In seguito capii che a guidare quel periodo buio della mia esistenza non erano le avversità, tanto meno le incapacità e il mio giusto orgoglio di essere importante, ma una seconda esistenza che stava nascendo dentro di me senza stipulare contratti di locazione, senza sfrattare il Silvio pigro, fantasioso, incapace, insicuro, un po' sensuale e molto bambino. Questa nuova presenza non era frutto della mia fantasia. Era reale, come gli scapaccioni di papà, come le lacrime di mia madre, e veniva a cambiare, meglio a salvare la mia vita. Da sempre il buon Dio vegliava su di me, ma non me ne ero mai accorto, perché pensavo di avere tutto: salute, amici, affetto… Poi più nulla e mi sentii solo… solo di Te: felicissimo vuoto… nulla pieno di tutto… pieno di Te e imparai ad essere paziente secondo l'insegnamento del nonno che mi diceva: "Tutto passa, eccetto l'autobus che stai aspettando per andare al lavoro".

Così quel brutto anno passò e io raccolsi la mia seconda bocciatura e passarono due anni senza storia… tra arcobaleni nascosti e cieli bui, terre sommerse e oceani profondi, tiepidi mattini e sere d'inverno. Mi rinchiusi al mio presente in un stanza mia e ne divenni padrone, nascondendo le entrate.

E tu bussasti alla porta, viandante, ospite senza fretta; mio destino, mia vita, mio tutto mio Dio.



CAPITOLO SECONDO

… POI VENNE IL PRETE

 

1963. La vita è mistero e noi ne conosciamo solo una parte; è come la punta di iceberg, come un trucco di magia ben fatto, meglio come un puzzle che si compone strada facendo e in questo gioco di tessere ora ne siamo attori, ma più sovente ne siamo spettatori. All'inizio della vita ci vengono regalate solo alcune tessere che possiamo mettere dove vogliamo. Altre ci piovono dal cielo e non ci chiedono certo il permesso di sistemarsi qua o là. Altre infine fluttuano a mezz'aria e tocca a noi prenderle o lasciarle lì . Una volta afferrate, però, dettano le regole del gioco. Fuori dalla metafora, queste ultime tessere rappresentano la Vocazione per cui ognuno di noi è chiamato a vivere nel mondo.

La mia Vocazione si presentò in una notte di maggio, in sogno, quando avevo 19 anni e pretese di cambiare la mia vita. Venne in alta uniforme, con tutte le credenziali a posto e mi disse: "Sveglia, dormiglione… andiamo a conoscere e ad amare il mondo. La vita e una sola… rischiala con me".
In seguito identificai la mia "Vocazione" con la figura del medico condotto del mio paese, dottor Dagnino, che, morta la moglie, si fece missionario della Consolata e andò in Africa a fare il prete e il medico… in pratica a salvare la propria vita, facendo del bene al prossimo.

Quel gioco d'azzardo mi piacque.

In fondo che avevo da perdere? Nulla.

Cosa potevo guadagnare: Tutto!

E poi ero e ne sono convinto tutt'ora che la Vocazione viene da Dio. Capii che dovevo essere Missionario e prete. Detto e fatto. Scrissi un breve lettera ai miei genitori, per avvisarli che era arrivato il "Padrone di Casa" per riscuotere "l'Affitto del loro figlio" e dopo averla lasciata sotto la tazza di caffelatte appena assaggiato, scappai di casa per la seconda volta. Ero contento e mi sentivo rinascere, ma non sapevo dove andare… perciò scelsi la direzione più usuale che si deve prendere in questi casi: entrai in una chiesa e mi misi in ascolto, recitando assurde preghiere.

Del resto tutto mi appariva illogico e logico nello stesso tempo… L'istante diventava eternità, una goccia era un oceano e io mi perdevo in quella stupenda immensità. Non so quando durò quella sensazione e situazione.

Quando uscii dalla chiesa era sera avanzata e entrai nella stazione. Mi piaceva vedere i treni partire e arrivare… e li incontrai mio padre. Anche lui sapeva del mio posto segreto. Insieme a lui c'era don Brossa, il mio insegnante nelle medie di via Luserna a Torino… Salesiano e… così fui Salesiano.

15 agosto 1963. Commemorazione della nascita di san Giovanni Bosco. Entro in Noviziato dai Salesiani a Monte Oliveto, presso Pinerolo. Resterò un anno esatto. Quello che mi rallegrava maggiormente era il sapere che non si doveva andare a scuola… tanto meno si era interrogati. E poi aleggiava quel senso di familiarità e di sana allegria che contraddistingue sempre ogni casa salesiana. A tali soddisfazioni facevano da contrapartita alcuni doveri tipicamente salesiani: il gioco collettivo alla palla durante la ricreazione (il divertimento consisteva nel correre da un angolo all'altro del cortile e non farsi colpire da un palla da tennis lanciata a folle velocità dall'assistente del gruppo. Indovinate chi veniva sempre colpito per primo. Mi sembrava di essere un birillo alla fiera dell'est); fare la doccia due sole volte al mese in tre minuti (tempo calcolato per non cedere alle possibili tentazioni della carne. Il record di era di un certo Umberto: 38 secondi e 2 decimi: un primato da formula uno. Come faceva…

Semplice… non si lavava, ed io che ero il suo vicino di banco vi posso assicurare che era proprio così); mangiare tutto quello che veniva servito a tavola… compresi i finocchi cotti (io ci provai e vomitai tutto nel piatto del vicino… Siccome la cosa non fu gradita… e non solo dal vicino di tavola… si incominciò a fare intelligenti eccezioni); eseguire canti polifonici a otto voci quando non si era più di 12 elementi. Io che non brillavo né da basso, né da tenore… anzi non brillavo proprio, tenevo la bocca chiusa. Una voce in meno nessuno l'avrebbe notata. Invece il maestro di musica fu di tutt'altro avviso. Mi scusai, dicendo che ero ventriloquo e riuscivo a elaboravo una voce quasi simile a quella di Farinelli il "castrato di Dio". Siccome a nessuno piaceva essere preso in giro… tanto meno a don Mitolo, il maestro di musica sacra, fui estromesso dal coro e mandato in biblioteca a foderare i libri.

Indovinate il primo libro che mi capitò tra mano? Un mini-manuale sui giochi di prestigio: "Ore serene" edito dalla Elle Di Ci. Non ebbi ripensamenti, nemmeno crisi di identità. Nella casa c'era un laboratorio di falegnameria e meccanica, così mi industriai a costruire i miei trucchi, che presentai nel teatrino dell'istituto davanti ai ragazzi dell'oratorio. Non fu un successo da star… ma nemmeno un disastro da "paperissima".

Intanto un anno era passato e il 15 agosto del 1964, feci i primi voti religiosi e divenni Salesiano a tutti gli effetti.

1964. Partenza per Foglizzo… la fabbrica dei chierici… Niente a che vedere con Montecarlo o con Acapulco. E poi dicono che i posti più belli della terra sono occupati da conventi… A Foglizzo, paese del Canavese, sommerso dalla nebbia per sei mesi l'anno e per il resto invaso da eserciti di zanzare non era quello che possiamo definire un "ridente" paesino; tuttavia si era contenti di stare li. Ovunque era presente lo spirito di don Bosco e l'allegria non mancava mai.

Passai tre anni stupendi della mia vita. In tutte le attività ero diventato un fenomeno… anche se da baraccone. Ai successi scolastici alternavo quelli nell'arte magica e naturalmente nella vita religiosa… Incominciava a delinearsi quella figura mista di uomo, di mago e di prete che creerà tanta meraviglia e un po' di disturbo attorno a me. Nel campo scolastico operai miracoli: feci tre anni in uno e mi diplomai, a pieni voti, maestro elementare della repubblica italiana.

Ogni domenica andavo ad animare i giovani nell'oratorio di San Benigno. E qui, insieme all'amico Carlo Montrucchio, fondai il mio primo circolo di magia, chiamato Circolo Magico don Bosco, in onore di questo grande santo che da piccolo faceva giochi di prestigio e da grande operava miracoli. Questa è la solita concorrenza sleale dei santi. Mago Sales, che santo non è, anche da grande, continua a fare solo giochi di magia.

1966. Vengo iscritto al circolo magico italiano, dove conosco i primi veri grandi artisti del trucco. Presidente onorario era il commendator Raniero Bustelli che si entusiasmò subito al mio entusiasmo. Anche se la sede del circolo era a Torino, a me non era ancora permesso uscire dal convento. Mi venne in aiuto mio padre, il quale, per amor mio, non certo della magia, assisteva alle lezioni di trucco per poi riferire al sottoscritto in seconda seduta. Mio padre mi aiutò pure nel mio primo spettacolo ufficiale a Novello, nel teatrino dell'Asilo parrocchiale, facendo da presentatore ed esordì dicendo: "Al vostro applauso, qui a Novello, il novello mago novellese: Mandrake". Mai l'eroe dei fumetti di Falk e Davis era caduto così in basso. Siccome non venni citato sui giornali o in televisione non ricevetti nessuna denuncia per cattivo plagio di nome d'arte, ma decisi di attribuirmi un nuovo nome che avrebbe caratterizzato il mio fare magia per i giovani. Siccome avevo conosciuto un Orionista: Augusto Greppi, bravissimo mago che veniva presentato come "mago Orione", essendo io Salesiano pensai che era logico essere il mago Sales.

In quegli anni alternavo allo studio del latino e della filosofia, la pratica dei giochi di prestigio a cui mi esercitavo in gran segreto, non tanto per non rivelare i trucchi, ma a motivo di una regola del seminario che non permetteva di praticare hobby personali. Trovai mille espedienti e divenni ben presto un "agente segreto" della magia. Nascondersi nei gabinetti del cortile o tenere le mani sotto il banco durante le noiose lezioni di apologetica o ancora rovistare sotto le coperte a letto, quando venivano spente le luci nella camerata, mi fece diventare esperto nelle più difficili manipolazioni, ma insospettì il consigliere (il religioso incaricato della disciplina e dell'animazione), il quale pensò a cose turpi e, complice il demonio, a cedimenti della carne. Così un sera, dopo che furono spente le luci della camerata, vedendo muoversi le coperte in direzioni della mie parti "innominabili", venne di soppiatto accanto al mio letto e con fare deciso, simile al gesto del torero che trafigge il tono nell'arena, scaraventò per aria coperte e lenzuola.

Naturalmente volò per aria un "serraglio" di attrezzi, quali palline colorate, carte da gioco, fiori di plastica, ecc. Conclusione della serata: divertimento gratuito per i componenti della camerata, "scornacchiamento" del Consigliere e… "ostracismo del sottoscritto dalla camerata verso il bagno del pianerottolo. Naturalmente, nella confusione dell'avvenimento, avevo avuto l'accortezza di portare con me alcuni attrezzi del mestiere, così quella notte feci straordinario e imparai il trucco del "tornichetto" e dell'impalmaggio rovesciato.

1967. Iniziai il tirocinio, in cui avrei dovuto esercitare, per tre anni, la pratica e le virtù apprese in seminario. Considerata la mia non più giovanissima età, mi venne "scontato" a due.

In quel periodo di "saldi" feci tantissime cose pratiche: da insegnante di matematica, geografia, applicazioni tecniche e scienze nelle medie e nel ginnasio degli istituti di Peveragno, vicino a Cuneo e di San Benigno Canadese, ad animatore di gruppi, a scrittore di testi teatrali tipo "Io, te e… i crisantemi", ad assistente di collegio.

La mia giornata era piena di attività e di creatività. La mia preghiera erano i giovani. Io volevo loro bene e loro volevano bene a me… e in questo scambio di cuori io mi trovavo libero e ricco. Unica pecca era la disciplina e l'ordine. Di queste due qualità umane non ne sono mai stato padrone. Un tempo davano preoccupazione a me e ai miei superiori… Ora, che mi sono accettato così come sono, danno problemi solo più ai superiori.

A proposito di superiori, dovete sapere che si dividono in due categorie: o santi o poco intelligenti, cioè ignoranti… e quelli che ho avuto io, tolte alcune eccezioni, non si poteva certo dire che fossero santi.

In quei due anni non feci molti esercizi di magia… anche perché un direttore che aveva un nome simile a una famosa marca di cioccolatini, me ne proibì l'esercizio, ma non provai enorme dispiacere. La mia vita con i giovani e con Dio era già magica così.

1969. Anno della contestazione europea. Inizio gli studi di teologia. Avevo chiesto di andare in un paese straniero per impararne la lingua: mi mandarono a Napoli, o meglio a Scanzano, allora feudo di Gava, Lauro e Don Martinelli… il mio superiore religioso. Furono quattro anni di intenso studio della religione. Mi buttai a capofitto sui libri. Ne riuscivo a leggere uno al giorno.. e ad ogni pagina di appassionata lettura aumentava in me l'amore per il Dio non dei filosofi o dei ragionieri del mondo, ma per il Dio, Padre della storia… Padre di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di Gesù e Padre nostro… Padre mio.

Nonostante la distanza dai miei luoghi natii, un cordone ombelicale mi legava sempre ad essi ed era un legame molto "odoroso": ogni mese mi veniva spedito, per posta, dai miei genitori un barattolino di "bagna cauda" un intingolo piemontese a base di aglio e acciughe, talmente "poderoso" da obbligare il verme solitario di ogni assaggiatore a chiedere asilo politico altrove. Ogni anno, poi, in ottobre, un mio vecchio amico di Alba, mi spediva, sempre per posta, un tartufo bianco, che consumavo con pochi intimi, in quanto la concorrenza con la "pomarolla" sulla pasta era imbattibile.

Alla domenica andavo a prestare servizio pastorale in un oratorio di un rione molto popolare di Napoli: Rione amicizia e li imparai il gioco delle tre carte e dei bussolotti. Un fine settimana, fui scippato delle mie valige, ma mi vennero subito restituite con mille scuse, perché si era venuto a sapere che i giochi di magia in essa contenute servivano per far divertire i ragazzini, che in dialetto napoletano vengono chiamati "e creature".

Soprattutto al sud i bambini rappresentano e sono l'immagine vivente di Dio… la sua benedizione in terra… ed imparai una gran cosa: che chi aiuta o rallegra un bimbo, aiuta un pezzo di cielo a illuminare il mondo e la semplice filosofia di quelle terre mi farà da insegnamento per tutta la vita.

1973. In quell'anno avvennero tre grandi avvenimenti: fine della guerra in Vietnam, colpo di stato in Cile e a Novello, un piccolo paese delle langhe, il 2 settembre il mago Sales veniva consacrato sacerdote.

Sarò uno dei pochi maghi al mondo capace di fare…"scherzi da prete". Ricordo come era bello avere tanta gente attorno, che ti conosce, che ti vuole bene, che ti dice: "coraggio!". Poi la sera, come al finire di uno spettacolo, calò il sipario e fui solo… solo con Dio, solo con me stesso e con la mia preghiera…

Dammi la gioia del dono e la pazienza del ricominciare,
l'umiltà nelle cose fatte bene e l'attesa della gente,
… del bramino che canta,
… dell'ebreo che ride,
… dell'islamico che prega,
… del povero che soffre.

Dammi solo il respiro di un bimbo che gioca,
il sospiro di un anziano che sente amore,
l'entusiasmo di un giovane che ama.

Dammi una vita
che non segua la ragionevolezza del mercato,
del dare e dell'avere,
del profitto e delle perdite.

Non voglio essere un ragioniere del mondo,
un imprenditore di Dio, un praticante,
un missionario, un crociato, un tesserato…

Non c'è nulla di solido,
di fermo,
di controllabile con Te.
E non ci sono canestri per i meriti.

Dammi solo l'amore dei giovani.
Il sorriso dei bimbi,
le lacrime di mia madre
in quel giorno del mio sacerdozio.
Dammi il coraggio di un piccola tenerezza.

Dammi preghiere folli,
per ascoltare i tuoi lunghi silenzi.

 


CAPITOLO TERZO

… E FU PRETE MAGO cioè prete per vocazione e mago per passione

VITA DI COLLEGIO


2 settembre 1973 - sera.
In quel giorno furono in molti a dirmi che avevo fatto la scelta migliore.
Ancora oggi mi chiedo perché, se tanti apprezzano questo bene, sono poi in pochi a volerlo cogliere! In realtà sapevo benissimo di non essere stato io a scegliere. L'amore del Padre mi aveva scelto e chissà perché, tra i tanti, ero stato selezionato proprio io e questo me lo chiedo ancora adesso.

Di fronte a questo dubbio terminava una giornata piena di amici e di fede e mi trovai solo… con i miei genitori, mia sorella… ancora da sposare e con 12 sveglie, 8 penne stilografiche tipo lusso, 4 copie delle lettere di san Paolo in elegante brossura rossa… e un salame di stagione con un bottiglia di barolo del 68, donatomi da un povero prete di campagna… l'unico a intendersi in fatto di regali.

Siccome viviamo una vita sola e, se le bottiglie non le sturiamo noi, ci penseranno altri a vuotarle, aprii la bottiglia di barolo e brindai alla nuova vita: mezzanotte tre quarti del giorno dopo.

Dopo due giorni ero a Saluzzo, all'oratorio di via Donaudi, dove resterò per un anno intero, il mio primo anno di messa.

1973 - 74. Settembre, ottobre, novembre… i mesi scorrevano veloci, come i grani di un rosario arabo e in quei giorni di tiepido autunno io raccoglievo i primi frutti di una vita attesa e sperata: la mia vita di giovane prete salesiano… per i giovani… ma soprattutto con i giovani.

Immaginate uno spazio tra due porticati, una chiesa e un muro di cinta, vuoto e immobile al mattino ma pieno e in rapido movimento nel pomeriggio e nei giorni di festa. Il cortile sembrava muoversi e ondeggiare come una chiatta sull'acqua, ma era solo un impressione, perché l'animazione e il movimento non scaturiva dal suolo, ma dal correre gioioso dei bambini e dei ragazzi ed erano centinaia e in quel turbinio in festa io ringraziavo il buon Dio e don Bosco per avermi scelto. Sarà la mia preghiera, il mio canto, la mia liturgia, la mia magia.

Naturalmente non avevo la vocazione da mistico… Così trovavo anche il tempo per costruire e sperimentare nuovi trucchi. Riuscii anche a creare un nuovo circolo di magia tra i ragazzi dell'oratorio.

Tutto si completerà in una spettacolo e mini festival della magia nel teatrino dell'oratorio. Per la propaganda ebbi un'idea grandiosa. Mio amico era un contadino della parrocchia di nome Battista, il quale aveva un buon numero di mucche nella stalla. Presto fatto; di notte mi diedi alla pittura e al bricolage. Confezionai tanti cartelloni pubblicitari, li legai due a due e al mattino li indossai sui fianchi delle mucche del mio amico Battista. Avevo creato le prime mucche sandwich. Tutto era pronto per la grande parata. Così, al sabato pomeriggio, i Saluzzesi che avevano programmato la consueta passeggiata sotto i portici di Corso Piemonte, furono costretti a condividere questa loro scelta con quella, meno liberatoria, delle mucche sponsor di Battista.

Immaginate la scena: le risate dei buontemponi, le arrabbiature dei soliti musoni, le lamentele dei commercianti e le multe dei vigili e del dipendente SIAE, anche perché una mucca ebbe la cattiva idea di entrare proprio nell'ufficio della SIAE e lasciare come ricordo non certo un volantino di propaganda.

La serata però fu un successo strepitoso, soprattutto di pubblico.

Inversamente le mia azioni e credenziali presso il direttore e parroco dell'istituto, cominciarono a vacillare.

A dare il colpo di grazia fu un fatto di ordinaria "amministrazione", o, meglio "costruzione".

Essendo io l'ultimo arrivato nella comunità religiosa di Saluzzo, non trovai più un locale disponibile per un mio piccolo ufficio, che poi sarebbe diventato l'antro segreto del mago. Così aspettai che il parroco, don…, santa persona e ora, di beata memoria, fosse assente per la consueta gita parrocchiale all'ennesimo santuario mariano, per costruirmi il mio luogo segreto. Nel giro di un mattina eressi nel corridoio degli uffici, proprio vicino a quello del parroco, un vero e proprio muro di cinta.

Ora avevo il mio ufficio… un po' stretto, ma discretamente lungo per sistemare tutti i miei trucchi di mago. Disgrazia volle che il corridoio terminasse con una porticina che era l'ingresso di un servizio igienico… quello del parroco, trasformato, col tempo, in archivio parrocchiale. Bene… uno spazio in più… pensai! Così, con grande fervore, nel pomeriggio, aiutato da alcuni ragazzi dell'oratorio svuotai quel locale e feci un grandioso falò di tutti i documenti.

L'avevo fatta grossa.

Il locale mi servirà a ben poco, in quanto a settembre… tempo di vendemmia, io raccolsi il mio primo invito a festeggiare altrove il mio entusiasmo giovanile e, ancora una volta fui messo in collegio.

1974 - 1981. Vita di collegio: Cuneo Convitto in Via "Cacciatori delle Alpi", angolo "Lungo Gesso".
Con l' aiuto di un compare o di una scaletta, qualche burlone aveva leggermente corretto le indicazioni sui nomi delle vie, in modo che ognuno poteva leggere: via "Caccatori delle Alpi", "Lungo Cesso". Nonostante le allusioni, quel collegio salesiano non era affatto un locale che… abitualmente si trova al fondo di ogni corridoio. Al contrario era un luogo di gioia e di rapporti umani fantastico ed io trascorsi, penso, gli anni più ricchi della mia vita. Ancora oggi, quando incontro un giovane ex allievo, assaporo, con nostalgia, il bel tempo passato e il bel ricordo è sempre reciproco.

Intanto mi iscrissi al primo anno di Università, a "Palazzo Nuovo", in Torino; facoltà di magistero… indirizzo sociologico. Erano gli anni ruggenti post contestazione giovanile… gli anni delle grandi rivendicazioni sociali, della lotta delle Brigate Rosse. Anch'io avevo una battaglia da combattere…

Solo molto più tardi capii che non era contro la società, ma contro me stesso. Comunque, dopo 10 anni discussi la mia seconda laurea: Pedagogia, ottenendo un discreto punteggio: 100 su 110. Appesi, con ostentazione, la laurea al muro della mia cameretta. Dopo un anno, non avevo tolto nemmeno la polvere, La staccai e la depositai chissà dove. Ora, il ricordo non mi crea certo nostalgia… Tutto passa, eccetto l'autobus che stai aspettano per andare al lavoro.

1980. Con alcuni miei amici, creai il Circolo Magico Cuneese. Gli amici maghi erano Bonomessi Giuseppe, Allochis Renzo, Alberto Claudio, Anselma Domenico, Enrici Cesare.

I circoli magici sono un po' come le musiche andine o i canti tibetani: monotoni e ripetitivi. Immaginate di accettare l'invito a cena di un lontano parente di vostra moglie, appena tornato da un viaggio in Thailandia, il quale, dopo avervi fatto gustare un discutibile infuso acquistato mediante il commercio equo e solidale, vi propini ben 721 diapositive del suo ultimo viaggio in Asia… e voi, martire delle circostanza, vi accorgete che a nulla serva maledire, in segreto, parentele e amicizie….

Così sono oggi i circoli di appassionati apprendisti stregoni. Servono solo ai padroni di casa (presidenti)… veri feudatari sempre in lotta tra di loro… e quindi, ora, non voglio parlarvi di questo mio peccato di sorpassata giovinezza.

Piuttosto voglio parlarvi di un mio incontro con un ragazzo smilzo, timido e pallidoccio, avvenuto in un anno particolare di quella che io chiamo: "non più chiara giovinezza"…. Insomma in un periodo di tempo fuori del tempo, proprio perché il personaggio che incontrai era ed è un "essere fuori del tempo". Mi ricordo soltanto che ero stato mandato dai miei superiori per organizzare un centro estivo nella colonia salesiana di Gressoney. I ragazzi., provenienti dai vari istituti salesiani, avevano tutti terminato la terza media, e dichiaravano di voler studiare da prete. Tra i tanti (ben 35), c'era anche quel ragazzino, proveniente dal collegio salesiano di Lanzo torinese: Arturo Brachetti, oggi star del grande varietà mondiale. Ancora prete?… in realtà Arturo studierà solo un anno per conoscere la sua vera vocazione… L'importante non è essere quello che siamo per gli altri, ma quello che sentiamo di essere dentro di noi… Questa è la vocazione. Arturo non è mai diventato sacerdote, perché quello era il desiderio di suo padre o di sua zia. In compenso è sempre stato un bambino e lo è ancora oggi… un bambino spontaneo, non capriccioso, cocco di mamma, ma ridente e generoso che continua a giocare con la propria vita e fantasia.

Questo è quello che Arturo Brachetti dice ora del suo primo maestro: don Silvio Mantelli, il mago Sales:

"Ci sono degli incontri nelle nostre vite, per cui poi noi diventiamo quello che sognavamo di essere. Questa è la magia che ha fatto Sales per me.

Ma oggi lui è molto di più per me e per tutti. Anche senza trucchi nè costumi, Sales porta la vera magia, quella della vita a coloro che hanno solo la propria sopravvivenza da difendere.
Grazie Sales per essere ancora quel "ragazzo" piene di idee, di risorse e di ideali che mi hai insegnato a perseguire.

Grazie per avermi insegnato che non esistono montagne invalicabili..."

1981. Giù dai colli… verso la città di don Bosco: Torino - Valdocco: Casa madre.

A volte far carriera equivale a una grande fregatura e così avvenne per me.

Mi dissero che sarei andato a stare meglio, che l'incarico che mi veniva offerto era di tutto riguardo. Dalla compagna di Cuneo, andavo verso la grande città: Torino e proprio a Valdocco, la prima opera creata da questo grande incosciente e fantastico santo: don Bosco.

Purtroppo le cose non andarono così e, se la vita è come una medaglia con il dritto e il rovescio, io incominciai a sperimentarne il rovescio, e il profumo di un tempo svanì e fu sostituito dall'odore e… non vi dico di cosa.

Le decisioni non avvengono mai a caso e questa mia nuova obbedienza fu originata anche da alcuni fatti che avvennero tra me e l'allora direttore del convitto civico salesiano di Cuneo.
L'origine di tutto fu, come sempre, la magia o, meglio, il mio essere prete e mago. Come ho già accennato precedentemente, la realtà di un prete che fa anche il mago e quindi crea, attorno a se un alone di notorietà, non è sempre stata accettata da tutti i miei superiori e don…. ne fu un esemplare perfetto.

Il fatto di leggere la mia "contenuta" fama "locale" dai giornali o il sentir parlare continuamente delle mie imprese da tutti coloro che frequentavano il Convitto, non gli andava proprio giù. Lui era pur sempre il Direttore e, per ruolo, doveva essere il più importante di tutti.
Questa che io chiamo: "malattia da vassallaggio" era ed è anche dovuta al fatto che non è assolutamente facile essere direttori religiosi e i pochi che ne hanno le capacità, a volte non hanno il coraggio di esserlo e rifiutano l'incarico. Così io fui vittima di un ennesimo Papa Celestino V che fece il gran rifiuto.

I contrasti si accentuavano quando, a proibizioni di uscire dal convento per fare spettacoli, io rispondevo con artificiosi sotterfugi da abile mago: tipo uscire dal collegio con un grande sacco dell'immondizia, in cui avevo riposto i miei giochi da spettacolo e salire sulla macchina di un amico che mi conduceva dove ero atteso per l'intrattenimento. Il rientro era sempre a notte fonda, quando tutti dormivano.

In quel tempo, per nascondere la mia identità di artista, avevo iniziato a far uso di maschere, creando nuovi personaggi. Allora ero Mandruga, la strega che toglie la ruga, il pagliaccio Sbrendola, il mago cinese "A me li oci", l'imbonitore ciarlatano, professor Marmittoni, il fantasma con l'asma, e tanti altri ancora. Il teatro è sempre stato un terreno di illimitata creatività ed io ne sperimentavo le enormi potenzialità. Naturalmente, dietro tutto ciò, c'era un grande regista: Arturo Brachetti, che, dopo pochi anni diventerà il più creativo trasformista del mondo.

Tutto bene, anzi benissimo… fino alla notte in cui, rientrando dopo l'ennesimo travestimento, trovai che la chiave non entrava più nella serratura del grande portone del collegio. Qualcuno… e pensate chi! aveva cambiato il nottolino e, non certo, per farmi uno scherzo. Non mi restava che scavalcare il muro di cinta. Guardai attorno a me che non ci fosse nessuno e mi accinsi a scalare il muro, salendo su un'auto li posteggiata. Ero ormai sulla sommità, quando un faro da 5.000 Wat mi investì in pieno e una voce mi intimò l'altolà. Era una pattuglia della Polizia ed io fui scambiato per un ladro. Mi portarono in caserma e… ancora una volta finii sui giornali.

Questo fatto non giovò molto alla salute del mio direttore, ma, purtroppo, non era che l'inizio ed io non ne fui cosciente che al termine dell'estate, quando ebbi con lui l'ennesimo incontro-scontro.
Intanto le serrature continuavano a essere cambiate. Così io cominciai a studiare e praticare le arti di scassinatore che furono del mago Houdinì e non ebbi più problemi a varcare ogni soglia, servendomi di improvvisati chiavistelli. Entravo nel collegio, senza far rumore, recandomi poi furtivamente nella mia cameretta per dormire quelle poche ore che mi separavano dalla sveglia comunitaria per la recita delle lodi.

In una di queste mie entrate notturne, prima di arrivare alla porta della mia cameretta, mi incontrai nel corridoio con un mio confratello che si svegliava sempre alle quattro del mattino. Era un salesiano molto anziano, ex missionario dell'India, che non aveva mai rinunciato ai suoi orari di un tempo. Per non dare troppe spiegazioni, invece di infilarmi nella mia cameretta, mi diressi con lui verso le stanze da bagno per darmi una rinfrescata. Così non ci furono domande, anzi ricevetti una nota di plauso per il fatto che anch'io avevo preso la giusta decisione di svegliarmi presto.

Non così fu il parere del direttore che incontrai lungo il corridoio, appostato proprio davanti alla mia cameretta. Era stato sveglio tutta la notte ed aveva covato ansia e altri sentimenti… non certo giovevoli alla salute del suo cuore de tempo malato.

Oltre a chiedermi dove ero stato, volle sapere come avevo fatto ad entrare dalla porta principale. Non trovai una spiegazione plausibile e dissi che avevo dei poteri e, essendo mago, non c'erano barriere capaci a resistermi.

Io pensavo di mettere la discussione sul ridicolo e di scaricare così la tensione che si era creata… Invece ben altra fu l'interpretazione che ne diede il Direttore. Incominciò ad aprire la bocca, forse per inviare chissà quale anatema nei miei confronti, ma non riuscì che a balbettare poche sillabe incomprensibili. Si accasciò al suolo con il braccio teso verso di me. Questo mi diede l'occasione per una presa stupenda. Lo afferrai per il braccio e lo trascinai velocemente verso la macchina, che, fortunatamente si trovava in strada. Lo portai al pronto soccorso e fu salvo.

Non io. Una settimana dopo ero in viaggio verso Torino, dove mi attendevano nuovi incarichi.
Si chiudeva il sipario del primo atto della mia vita di prete e, dietro le quinte, maturavo nostalgia e timori. Mi accorgevo che la vita continua, ma volevo fermare il tempo.

Una giornata così
di tiepida estate e di fine vacanza.
Sfumature di colori,
odore di muschio,
prime nebbie
nel mattino che sale,
tra il vagare di ricordi
e l'attesa di un giorno nuovo.
Edulcorata nostalgia,
quasi preghiera.


Desiderio di nuovo
Voglia di pace
Ribellione di ipocrisie,
… e quello che sai è solo
quello che non vuoi più essere:
un contabile di pregi,
un benestante,
un dispensatore di consigli,
un adulto rassegnato,
un idealista,
un cristiano praticante,
… un prete di privilegi.

E il reale si perde nel sogno…
e vorresti rotolarti in un prato
e sentire l'odore caldo della conserva
tra la vendemmia e la pulitura delle pannocchie,
sull'aia di nonna Matilde.
e ti senti felice,
libero,
nella gioia di allora…
bambino di un tempo…

Come Pietro a cui ora
hanno messo in testa tre corone,
ma ancora sogna una barca
sul suo lago di Tiberiade;
o don Bosco a cui
hanno dato un ufficio e tanti segretari,
ma ripensa ad un prato
con una corda tesa
tra i due meli dei Becchi.




CAPITOLO QUARTO

VITA DI REVISIONE

In India, al confine delle grandi montagne, tra il brulicare di innumerevoli ruscelli e lo scorrere monotono delle stagioni, dicono che esista un piccolo lago a forma di stella, nel cui interno qualcuno ha nascosto i destini di tutti gli uomini. Il lago ha cinque punte e su ogni punta nasce un torrente che porta le acque del lago e i destini degli uomini verso il grande oceano. I torrenti si trasformano poi in fiumi e hanno percorsi diversi, a secondo della loro lunghezza. Alcuni arrivano molto presto al mare, altri percorrono chilometri e chilometri in variegati territori. Tutto sembra stabilito fin dall’inizio e le vite degli uomini sono segnate e affidate al tratto di fiume che dovranno percorrere. I fiumi sono sacri e le loro acque intoccabili, ma i bambini di quelle terre, come tutti i bambini del mondo, non conosco regole se non quelle del gioco ed è per gioco che, ogni tanto un bimbo va al fiume e rimescola le acque, riempiendo piccoli secchielli.
Così il destino di un uomo, improvvisamente cambia percorso o semplicemente si interrompe. La vita è proprio un gioco ed è affidato, a volte, al capriccio di un bimbo. Non scommettiamo mai sul nostro futuro, il domani potrebbe essere carico di grandi sorprese… brutte o belle… e non dipende da noi.

1981 La sorpresa che mi attendeva a Torino, non so definirla bella o brutta; certo, fu sufficiente a cambiare un tratto della mia vita di prete—mago.
Valdocco era ed è terra santa, perché terra di Don Bosco, uno dei più grandi santi che abbia avuto la chiesa nel secolo diciannovesimo. Tutto era grande a Valdocco… soprattutto era perfetto. A sentire alcuni anziani, si diceva che gran parte dei confratelli possedessero, anche se nascoste, qualità inimmaginabili, tanto da sembrare dei veri giganti di bravura e di santità. Se queste erano le premesse, non era certo necessario avere una mente stile Leonardo per immaginare il risultato di un accoppiamento così bizzarro: cioè tra l’eccezione stravagante della mia vita di prete-mago e la perfezione di un ambiente collaudato nel tempo. Era come mettere un rattoppo vecchio su un abito di gran classe. Nemmeno il Saggio, nel Vangelo, offre la sua benedizione a un tale connubio.

Praticamente ero stato inviato a sostituire un bravissimo salesiano, Don Gazzera, incaricato della disciplina nella prima scuola professionale fondata dallo stesso Don Bosco. Gli studenti, tra i 15 e 17 anni, erano più di 300, eppure nella scuola, nel cortile, nel refettorio regnava un ordine e una disciplina, stile “cortina di ferro”. Con tutto ciò i ragazzi volevano un gran bene a Don Gazzera, che esigeva da loro un tale comportamento. Come era possibile tutto ciò? Semplice! Quel salesiano usava un bene che tutti hanno, ma pochi usano: la ragione. Ogni intervento disciplinare non era mai impulsivo o di parte, ma motivato e inserito in un progetto educativo volto unicamente al bene dei ragazzi… e loro ne erano coscienti.
Io, dopo aver “assimilato” tutto ciò, incominciai a “fagocitare” la mia parte di copione, cercando di entrare, il più possibile, nel ruolo del “burbero benefico”, avvalendomi di ben studiati artifizi, tipo segnare con un gessetto tutte le mattonelle del pavimento su cui era solito posizionarsi Don Gazzera: lungo le scale, nei corridoi, in refettorio, nel cortile… in prossimità dei gabinetti… luogo ritenuto di particolare attenzione.
Naturalmente tanto era animata la ricreazione nei cortili, altrettanto dovevano essere silenziosi gli altri ambienti.
Il giorno precedente l’inizio della scuola, feci le prove generali: mi misi davanti ad uno specchio e valutai, tra le varie espressioni del mio viso, una in particolare che fosse la più solenne possibile. Usai anche del trucco teatrale per accentuare le ciglia e ridurre gli zigomi e mi immedesimai in un’immagine stile “kapò” anni ‘40.

Tutto era pronto per il grande debutto: la “prima” andò discretamente bene… ma le “repliche” furono un disastro… anche perché dopo non molti giorni, mentre mi trovavo con la mia faccia “truccata” in un ambiente all’aperto, si mise improvvisamente a piovviginare e il mio viso si rigò di piccoli solchi colorati, rendendolo simile a quello di un clown.
L’incanto era finito e la ricreazione divenne generale.

Con tutto ciò il rapporto con i ragazzi della scuola divenne sempre più cordiale, trasformandosi in vera amicizia e familiarità; fui considerato il loro fratello maggiore; una persona, cioè, a cui poter confidare segreti e preoccupazioni.
Queste ultime, però, le maturarono i miei confratelli salesiani, turbati dalla mancanza di silenzio e di disciplina nei vari ambienti della scuola, Così incominciai a sentirmi a disagio nella nuova casa salesiana.

In questa “precaria” situazione passai due anni in cui ero consigliere, animatore professore (insegnante di cultura in ben tre classi dell’istituto professionale), studente (iscritto al 9 anno di università) e prete. Con tutti questi incarichi non avevo più tempo di fare anche il mago. Tenevo sempre i miei attrezzi… animali compresi: 6 tortorelle e 2 conigli, alloggiati nella mia cella, all’interno di un armadio, a cui avevo inchiodato una rete metallica, trasformandolo in voliera.

Mi ero creato una sveglia “naturale”. Puntualmente alle cinque del mattino, venivo “introdotto” al nuovo giorno attraverso l’umile tubare delle tortorelle… un suono a me gradito e confacente con l’habitat quasi francescano di quei luoghi santi. Ben diverso era però il parere dei vicini di camera.
Così, mentre le mie quotazioni di simpatia da parte dei confratelli e dei superiori continuavano a calare, si allargava e cresceva dentro di me una situazione di disagio e di sofferenza.
“Chi è senza peccato scagli la prima pietra” fu detto ed io mi ritrovo, ancora oggi, nel mucchio di coloro che segretamente lasciano cadere a terra il sasso.
Certamente la colpa di tutto quel malessere fu anche mia, soprattutto quando incominciai a confondere “un” dono con “il” dono e preferirlo alla carità amorevole verso tutti.
Questo mi successe pochi mesi dopo il mio arrivo a Torino. Mi pareva di vivere fuori del tempo, in una dimensione “senza confini”, irrazionale e precaria nello stesso tempo… in uno stadio embrionale e primaverile. Erano i preamboli dell’innamoramento e questo non tanto verso le cose, il mondo o verso Dio, ma verso una donna… proprio lei, diversa da tutto e da tutte, unica.
Questo successe e io non feci nulla per allontanare quel sentimento… che tutt’ora sento bello e gratificante. Sentirsi amato è un desiderio di tutti ed io lo fui veramente. Era il tempo della tenerezza e della poesia.

Bianchi, tenui cesti di baci,
tiepidi come un fiore sbocciato
nella rugiada del mattino
tra l’incolto del bosco.
…Prime pratoline.

Sembri un oceano di luci,
un uragano di colori
e sei un nido
per la mia stanchezza.



Questo e altro ero solito scrivere e lasciare nei posti più impensati e noti solo a noi.
Del resto non facevo altro che attingere da un patrimonio di poesie scritte in precedenza per i ragazzi del Convitto di Cuneo in fase più o meno avanzata di innamoramento. Le scrivevo su ordinazione, a secondo dei casi e delle circostanze e mi divertivo un mondo.
Mai più avrei pensato di diventare così “sciocco” da farne un uso personale.

Perché sciocco lo era diventato veramente, ma, nello stesso tempo mi sentivo più buono verso gli altri, capace di affrontare la vita con meno paure.

L’esperienza fu talmente unica e grande che mi pare sprecato, ora, dire o definire i particolari. Non fu una vicenda da rotocalco. Ci fu soprattutto amore, sentimento, un po’ di passione e… tanta sofferenza.

Non me lo disse lei… Non avrebbe più potuto; lo seppi da altri in una mattina tiepida di fine inverno. Se n’era andata, in silenzio, sola su una panchina dei giardini di Torino, portandosi dentro il suo segreto… il nostro.

E’ troppo facile dire “Non c’entro”,
e distribuire demeriti e peccati;
è troppo comune pensare: “Non io”
e ritenersi diversi dai tanti,
illegali e amorali;
è troppo liberatorio dire: “Non m’interessa”,
e arroccarsi in un piccolo gruppo,
o setta di benpensanti;
è troppo semplice ripetere: “non so”
e nascondersi dietro coltri di paura;
Siamo come bimbi,
intrappolati nelle nostre bugie,
coscienti solo dei nostri privilegi.
Basterebbe chiedersi: “Perché?”,
mentre un gallo canta,
tra il vociare di serve curiose
accanto a un fuoco di sera.
che si consuma tra colpe e amarezze.
… le mie.

Poi incontri lo sguardo di Gesù che porta la croce.
E ti ritrovo povero,
vuoto di meriti,
carico di colpe
ma… ricco di perdono.

Al di la del Calvario,
sul fare del giorno
Tu, ancora ci attendi
per ridonarci una speranza
e un mondo nuovo,
come all’inizio del tempo.




1983 Le sopraffazioni, le ingiustizie, le guerre hanno una spiegazione: sono frutto dell’egoismo degli uomini, ma quale è la giustificazione alla sofferenza? L’esperienza del dolore, si dice che faccia parte della vita… ma non siamo stati creati per questo. Ancora, dicono che sia conseguenza di una colpa originale di quell’uomo o coppia, ma, che colpa abbiamo noi? Altri ancora affermano che il male è contrapposizione del bene e l’uno non può esistere senza l’altro… Bugie! Forse non ci sono spiegazioni logiche… nemmeno teologiche. Il dolore resta un’esperienza umana, preambolo dell’esperienza di Dio che bussa alla tua porta, ti invita a uscire e cammina con te. Questo passaggio, però, avviene gradatamente e in quell’intervallo di tempo e di sofferenza io decisi di prendermi una “pausa di riflessione”: si dice così per chi sta per lasciare la casa religiosa e uscire di Congregazione.

A settembre di quello stesso anno, lasciai la casa religiosa di Valdocco e caricai sulla macchina di mia sorella le poche cose che avevo per una nuova vita. Dove? Ancora non sapevo… ma quello era l’ultimo dei miei problemi.

Infatti a ottobre, un mio amico mi presentò ad un produttore televisivo di TeleMontecarlo: Noel Coutisson e dopo una settimana fui assunto come aiuto regista di due programmi televisivi: “Gli affari sono affari”, girati nei supermercati d’Italia e “Bim Bum Bambino”, registrato nelle scuole elementari.


1984: grandi novità

Intanto mi laureai in Pedagogia, con una tesi sulla “concezione e pratica religiosa dei lavoratori dipendenti di Torino e Cuneo e loro comparazione”.
Allora abitavo a Montecarlo, in uno studiò nel condomino degli aranci ma non mangiavo caviale e nemmeno bevevo champagne. La giornata era troppo corta per sommare insieme lavoro e passatempo, per cui mi accontentavo di un panino, una pizza o un’insalata francese, una lattina di coca-cola e di un caffè non italiano sorbito tra un viaggio, un lavoro sul set, una programmazione e mille altri impegni. La domenica era libera, ma ero talmente stanco che non riuscivo nemmeno a riposare.

Passò così un anno della mia vita, naturalmente tra pregi, difetti e… consuete abitudini, ben radicate nella mia personalità, quali una grande capacità di fantasticare messa a servizio di lavori sempre creativi e un innato senso di pigrizia, accoppiato con un incurante vissuto nel disordine più totale. L’alloggetto in rue des orangines (via degli aranci), dopo solo pochi mesi di abitazione, presentava più l’aspetto di una tana da campi profughi che di un luogo ameno tipo agrumeto in fiore. Avevo anche una mia teoria sulla polvere: dopo quattro mesi non fa più impressione e nemmeno si nota la crescita… Tanto vale allora diventane amico o, almeno, fare un patto di non belligeranza.

I pregi o i vantaggi che derivavano da questo nuovo stile di vita erano evidenti: imparai a vivere come un uomo comune, senza i privilegi che derivavano dall’essere parte di una casta sacerdotale. Mi mettevo in fila con gli altri e non avevo un medico o un barbiere personale e gratuito. Questo mi dava la possibilità di conoscere le difficoltà dei tanti. Inoltre ora ero libero di disporre non solo di cosa fare delle mie doti o del mio tempo, ma anche dei miei beni materiali, tipo una macchina, una casa e.. naturalmente del denaro. Potevo scegliere: o tenere tutto per me o distribuirne parte per aiutare gli altri. Scelsi quest’ultima opzione e divenni ricco non solo di meriti, ma anche di me stesso.

Ricordo che prestai ad una collega di lavoro una discreta somma di denaro per il saldo della sua nuova macchina, con la promessa che mi sarebbe stata restituita dopo pochi mesi, naturalmente senza interessi. I mesi passarono e passò anche la memoria del debito da parte della mia collega. Disse che il bugiardo ero io e non aveva mai ricevuto nulla da me. Io non mi ero fatto rilasciare una dichiarazione scritta, ma possedevo una buona fantasia e un discreto senso dell’umorismo, per cui, notte tempo, presi una bomboletta spray e decorai la sua macchina con una scritta tipo insulto. Risultato: la collega non si fece vedere al lavoro per due giorni, poi riprese a venire, ma servendosi dei mezzi pubblici. Riconosco di aver agito malamente e questo scritto equivale ad un “mea culpa”… ma, devo anche confessare che quel giorno mi tolsi una grande soddisfazione. Questo non fu certo l’unico peccato commesso in quel periodo della mia vita. Poco alla volta mi accorgevo che il lavoro occupava sempre più i miei interessi, tanto da farne da padrone. La conseguenza era la perdita progressiva del mio essere prete e del tempo dedicato alla preghiera, o, anche solo alla lettura, da me ritenta fondamentale per il mantenimento di una buona igiene mentale.

Così, ancora una volta, presi la decisione di voltare pagina e ricominciare.

Sul far dell’estate, lasciai Montecarlo, salutai colleghi e principali e ritornai a Torino, o meglio andai a vivere a Grugliasco, in provincia di Torino.


1984 Anche quell’anno dovevo vivere e… quindi lavorare. Ripresi a fare l’insegnante, o, meglio, il procacciatore e dispensatore di valori umani e spirituali. Ero diventato insegnante di religione in una scuola commerciale. Più che insegnare religione o cultura religiosa, cercavo di far capire a quei ragazzi l’importanza e la ricchezza della propria vita, del sentirsi vivo e della immensa capacità che abbiamo di amare e di essere amati. Questa è religione: partire dall’uomo e restare con l’uomo, salvato da Dio e quindi capace di voler bene. Ognuno di noi: cristiano, ebreo, mussulmano, ateo, buddista ha un grande destino e responsabilità: quella di far capire al nostro prossimo che nessuno è orfano su questa terra e l’essere e il sentirsi religiosi aiuta a vivere meglio questo impegno.

Così, a fine mese avevo meno soldi, ma molte soddisfazioni. Per i primi tempi tirai un po’ la cinghia: facevo un solo pasto al giorno e dormivo nel mio alloggio al secondo piano di uno stabile popolare, praticando uno stile asiatico tipicamente indiano: cioè sul pavimento tra un cuscino e una coperta: le uniche due cose che mi ero portato via dalla casa Salesiana di Valdocco.

A proposito: queste due cose mi aiutano ancora oggi a chiudere gli occhi su ogni giornata che muore, con un’unica grande differenza: sono accompagnate da un giaciglio classico con tanto di materasso ortopedico. Non penso di essere superstizioso, ma reputo questi due oggetti, il cuscino e la coperta, i miei portafortuna. Mi ci sono affezionato col tempo e li antepongo ad ogni cosa, anche a una abitazione o a una macchina e, quando non ci sarò più in questa vita, vorrei ancora averli con me. E’ l’unica cosa che chiedo.

Col tempo le cose migliorarono e nel giro di due anni completai l’arredamento. Appesi anche i quadri alle pareti e ripresi a fare esercizi di magia. Per arrotondare lo stipendio facevo spettacoli in vecchie sale da ballo o nei ristoranti frequentatati da poche coppiette, ma molte aitanti vedovelle o signorinelle di età indefinita. Vedendole ringraziavo la Chiesa per aver imposto il celibato ecclesiastico ai suoi preti. Diversamente, quando incontravo una bella ragazza, ringraziavo il buon Dio per aver creato cose così belle. Anche se ero a dieta, una semplice controllata al menù non poteva certo farmi male.

Non sapendo che io ero un prete, alcune “vedovelle” incominciarono anche a farmi delle avance e, considerando il fatto che avevano tutte una certa età e non erano un “fiore di beltà”, ebbi la triste percezione di essere diventato anziano.

1986 In quell’anno non ripresi soltanto ad interessarmi di giochi di magia. Ripresi anche a “fare il prete”, o meglio a “essere prete”.

Il mio cammino sulla via per Damasco era incominciato e la mia conversione pure. Il bello era che non fui io a incontrare Gesù. Fu lui a presentarsi a me, come ai due discepoli sulla via di Emmaus. Si presentò attraverso una suorina del Cottolengo, suor Lucia, di circa 75 anni, che mi accolse nella sua casa per anziani, dove rimasi 5 anni, facendo il cappellano. Bussai alla porta di quella casa della Divina Provvidenza in una mattina d’autunno, quando le scuole erano iniziate da soli due giorni. La superiora, suor Lucia, mi venne ad aprire e, alla mia richiesta di essere cappellano, mi rispose che non poteva prendere simili decisioni, senza prima consultare il Padre superiore. Nel pomeriggio mi chiamò e mi disse che il Padre aveva accettato la mia richiesta e lei era ben contenta di quella scelta.

Solo quattro anni dopo, quando suor Lucia dovette lasciare quell’impegno per limiti di età, mi disse che aveva sì consultato il Padre, ma non quello gerarchico con sede a Torino, in via Cottolengo, ma quello presente nel Tabernacolo: Gesù e da Lui ne aveva auto l’approvazione. Passai così 5 anni in cui feci veramente il prete e, a poco a poco, rinacque in me la voglia di Dio, l’amore per gli ultimi e il rispetto per me stesso.

Oggi ho nostalgia di quel periodo, forse perché col passare del tempo la mia conversione sa più di matrimonio invecchiato che di iniziale innamoramento.

1988 Centenario della morte di Don Bosco
Quando io nacqui, mia mamma mi aveva affidato a due grandi santi: santa Rita e san Giovanni Bosco; la prima era la santa degli impossibili, il secondo il santo dell’amorevolezza; insomma due santi adatti per tutte le stagioni ed io nel 1988, dalla crudezza del rigido inverno stavo entrando nel dolce tepore primaverile. Era la quiete dopo la tempesta. Santa Rita aveva fatto la sua parte e mia mamma pure (penso che abbia impiegato gran parte della sua vita a accendere candele alla Santa degli impossibili nel santuario di Torino); ora era il turno di Don Bosco… che mi accolse tra le sue braccia e i suoi figli proprio nel centenario della sua morte, durante le celebrazioni in suo onore.

Don Bosco è ufficialmente riconosciuto come il santo patrono dei giocolieri e dei prestigiatori. Per onorarlo come tale nel gennaio del 1988 avevo organizzato una grande manifestazione con i mie amici prestigiatori di Torino (l’allora Circolo amici della magia). Dai Salesiani di Valdocco avevo ottenuto il permesso di iniziare i festeggiamenti magici con un momento di preghiera e spettacolo nella grande chiesa di Maria Ausiliatrice, proprio all’altare do si trova l’urna di Don Bosco. Volutamente non avevo fatto propaganda di questo fatto, per cui ebbi un pubblico limitato, ma scelto. Ad entusiasmarsi e battere le mani era presente anche il Rettor Maggiore dei Salesiani: don Egidio Vigano. Quale occasione più bella per abbracciare il successore di Don Bosco e per ritrovare la forza di chiedere perdono ed essere nuovamente ammesso dentro la vera allegria salesiana.

1991. Due anni dopo lascio la cappellania del Cottolengo di Grugliasco, un laboratorio di magia in Torino dove avevo iniziato una scuola per giovani apprendisti “stregoni” e due camere in uno stabile popolare… La nuova destinazione è l’oratorio salesiano Michele Rua in Torino.




CAPITOLO QUINTO

VITA DA PROFESSIONISTA (In gara con me stesso, con Dio e con i bambini del mondo)


1991 settembre tempo di migrare.
La mia transumanza avvenne in un mattino di tiepido autunno, prima dell’inizio delle scuole. Destinazione: istituto salesiano Monterosa “multiuso”: cioè con molte attività: oratorio, parrocchia e scuola. Era l’ambiente adatto per mettere a profitto la mia laurea in pedagogia; infatti mi misero a insegnare storia e geografia in due classi della scuola media Michele Rua nell’omonimo istituto salesiano di Via Paisiello 37 in Torino.

Il comportamento umano sovente è paragonabile all’andamento delle onde del mare: continuo e ripetitivo e la mia vita non faceva certo eccezione a questa regola, per cui il problema di un tempo, legato alla mia incapacità a mantenere la disciplina, ritornò a galla. Con tutto ciò mi trovai contento di annegare in quel dolce mare della scuola. Avevo l’apprezzamento degli allievi, la comprensione dei genitori e la rassegnazione del preside e degli insegnanti. Come sempre non si poteva aver tutto dalla vita.

Direttore dell’opera era don Mario, una vecchia conoscenza e amico. Anche lui usava la terapia del sorriso mediante canti, barzellette e giochi di prestigio per comunicare con bambini, giovani e anziani… insomma con tutti.

Ero di nuovo a casa e per due anni ripercorsi una strada già nota senza ignominia e senza lode. Sul fronte della magia e dello spettacolo, però, riportai una grande novità. La mia presenza scenica si fece più elaborata quando, nell’autunno del 1992, Arturo Brachetti ritornò dalla sua tourné in Europa e mi aiutò nell’allestimento teatrale del mio primo grande spettacolo di magia: una “commedia magica” di due ore con più personaggi dal titolo un po’ curioso, ma profetico: “Il giro del mondo in 80 minuti”.

L’anno dopo incomincia veramente a girare il mondo e fu l’inizio di una grande avventura che continua ancora oggi.

1993 Dopo anni di onorata “carriera” in Italia misi trucchi costumi, bacchetta e cilindro magico in due grosse valigie e partii a portare il mio spettacolo in giro per il mondo. Da quel fatidico agosto del 1993 ho fatto tre volte il giro del globo, trascinando nel gioco i vivaci bambini dei villaggi africani in Nigeria, Kenya, Madagascar, Somalia, Uganda, ecc. facendo ridere le timide ragazzine delle Ande boliviane, allietando intere scolaresche delle Filippine, affascinando migliaia di giovani nelle missioni di Macao, di Hong Kong, portando un sorriso ai bambini Indiani di Calcutta, dell’Indonesia, del Vietnam e della Cambogia. ballando e giocando a ritmo di samba con gli irrequieti ragazzi delle favelas brasiliane e delle foreste dell’Amazzonia… Insomma la mia vita si trasformava in un canto di gioia e il gioco di magia generava allegria ed io ne diventavo il mercante o meglio il dispensatore, regalando sorrisi ai bambini del mondo: al bambino bianco, al bambino nero, al bambino giallo, al bambino rosso… In cambio ho sempre ricevuto un bene prezioso: amore.

Il sorriso donato non era certo un “affare” era e resta un diritto, come la vita, la salute, la felicità… Ma, percorrendo le strade del mondo, incontravo situazioni di estrema povertà in cui questo diritto troppo spesso era negato.

La mia missione diventava allora quella di dare un “tetto al sorriso del mondo”, aiutando i bambini che non avevano una casa, una famiglia o un amico, a vivere “decentemente” il grande dono della vita.

Da quel lontano 1993, grazie all’aiuto di tanti benefattori, molti bambini sono stati liberati dalla fame, dalle malattie, dall’ignoranza e hanno ricevuto sostentamento, salute, istruzione e tanta allegria.

Questo progetto cambierà la mia vita e fu originato da un fatto non certo casuale.

Ripensando ai momenti più importanti della mia vita, mi accorgo, ora, che sono sempre stato guidato da un provvidenziale destino, che a volte mi ha salvato da un pericolo nascosto, ma più sovente mi ha indicato la strada da percorrere. Questo destino io lo chiamo semplicemente “buona sorte” ed è affidato a un angelo… ad un “angelo custode”. In quanto credente, ho la fortuna di sapere che proviene da Dio, l’artefice della mia vita, come quella di tutti i bambini del mondo.
Il pretesto per smuovermi dal suolo natio avvenne al termine di una cena in casa dei genitori di Mario a Torino. Mario Fasson era un mio ex allievo della scuola professionale in Valdocco; si interessava di giochi di prestigio ed era stato per alcuni anni il mio collaboratore assistente mago. Poi un bel giorno piantò tutto e andò in Brasile a lavorare come volontario in un ospedale del Mato Grosso. Doveva restare solo due mesi, ma, nel 1993, dopo due anni, era ancora là. Così, siccome Mario non sembrava voler ritornare a casa, la famiglia Fasson e il mago Sales, al termine di quella cena, decisero di andar loro in Brasile a trovare Mario.

Ai primi di agosto del 1993, con due valige, un passaporto nuovo e due genitori a carico, varcai i confini europei per il nuovo mondo.

1993—15 Agosto Sao Juliao, Mato Grosso, Brasile — inizio dell’avventura.

Nella mia vita ho rallegrato centinaia di migliaia di bambini ed ho fatto innumerevoli rappresentazioni … Tante, ma non troppe per non ricordarne qualcuna in particolare ed una di queste fu lo spettacolo presentato nel lebbrosario di Sao Juliao nel Mato Grosso del Brasile. In tale occasione, fra centinaia di bambini in festa, che ridevano e applaudivano, mi accorsi di un bambino che mi osserva con particolare meraviglia e attenzione. Il suo sguardo andava al di la del gioco che facevo ed era attratto da un qualche cosa che ancora non conoscevo. Io stesso ero rapito dalla magia di quello sguardo che mi osservava e guidava i miei movimenti fino alla fine dello spettacolo. Non mi accorsi nemmeno degli applausi finali e del pubblico che se ne andava. Al centro della grande sala c’era rimasto solo lui: Paolino.

Andai da lui e mi disse: “Tu che sei un mago, perché non mi fai guarire da questo brutto male? Così potrò ritornare dai miei genitori”. Paolino era malato di lebbra e la mamma lo aveva abbandonato per paura che venissero contagiati gli altri suoi figli.

Di fronte a quella richiesta semplice, ma disarmante, la mia bravura di prestigiatore scomparve (non certo per magia) e mi accorsi di essere uno sfrattato... un randagio, un personaggio in cerca di una nuova scrittura teatrale. Quella richiesta mi suonava nella mente come un impossibile bis ad un prodigio mai immaginato e realizzato... Nello stesso tempo mi sentivo tremendamente inutile. I miei trucchetti di magia non erano più all’altezza dei bisogni reali dei miei piccoli spettatori. Avrei fatto fagotto con i miei fazzolettini, palline colorate, fiori di piume e animaletti vari e sarei ritornato in Italia con una esperienza da dimenticare.

Quella notte non riuscii a chiudere occhio. Poi, all’alba, istintivamente mi resi conto che era possibile realizzare qualche cosa di bello e di buono... di magico.

Tutti i miei giochi precedenti erano basati unicamente sulla bravura dovuta allo studio del sorprendente e all’esercizio delle mie mani. Era insomma una mia magia, una bella magia, senza dubbio, ma sempre e solo una mia singola magia, distaccata dalle attese del mio uditorio. Non avevo mai pensato prima che era possibile realizzare una magia differente, una grande magia in cui il pubblico diventava artefice e realizzatore del lavoro teatrale.

In pratica, se prima cercavo di portare la mia magia al pubblico per meravigliarlo, ora, invece, non dovevo far altro che portare il pubblico nella mia magia per entusiasmarlo. Tutto questo era possibile semplicemente interessando il mio pubblico, ai bisogni e alle necessità dei bambini meno fortunati dei nostri.

Unendo le mie qualità magiche di intrattenitore alla generosità d’animo del pubblico che sempre interveniva numeroso ai miei spettacoli, speravo così di ottenere il collegamento necessario per compiere la grande magia di far guarire Paolino dalla lebbra.

Arrivato in Italia, interessai alcuni miei colleghi maghi e con l’aiuto dell’organizzazione Mato Grosso di Torino allestii un grandioso spettacolo di magia. Fu un enorme successo. Così con il ricavato di quella serata, finalmente Paolino poté avere le prime cure nel lebbrosario di San Juliao nel Mato Grosso del Brasile.

L’avventura aveva avuto inizio e con essa nasceva in me una nuova vocazione e chiamata alla gioia. Sarei diventato il clown dei piccoli della terra, il mago capace di far compiere la grande magia della generosità.

Lino Villachà era un ammalato nell’ospedale São Julião di Campo Grande, soprattutto era un poeta. Attraverso le sue poesie ringraziava per la vita, esaltava la natura e le persone. Nonostante la malattia che lo distrusse, dimostrò estrema sensibilità e gioia di vivere. Pur non avendo ricchezze, regalava a tutti qualche cosa. A me e a Paolino regalò un sorriso e una poesia:

Il prete magico
I bambini si sedettero sul pavimento attorno al palco per vedere più da vicino lo spettacolo. Paolino era ansioso.
I suoi occhi brillavano nella grande attesa... quando il magico, con la lunga barba, con cappello e mantello ornato di stelle salì sul palco.
Prese con se un bambino e collocò nella sua mano un oggetto.
Gli girò intorno un paio di volte danzando... ritirò il drappo e vide che nella mano del bambino era sbocciato un mazzolino di fiori.
Incredibile! Pensò Paolino.
Ora da un tubo il magico tirò fuori drappi colorati, ognuno di un colore diverso.
Poi li posò tutti in un sacco.
Lo rigirò, lo toccò con la sua bacchetta magica e ne fece uscire un grande lenzuolo formato da tutti i drappi colorati che vi aveva messo...
“Come è possibile...”.
Uscirono poi dalle mani del magico degli anelli lucenti e si univano nell’aria incatenati gli uni agli altri.
Le sue mani facevano cose straordinarie.
“Sarà che possa fare che la mamma mi voglia bene e che mi accetti di nuovo a casa?”, pensava Paolino che non sa più dove andare dopo essersi ammalato!
Ecco viene il magico trasformando con le sue mani i palloncini in fiori o in una corona che collocò sulla testa di un piccolo.
Una suora scese dal palco con l’aureola di una santa...
Paolino sognava...
Desiderava incontrare un nuovo papà e una nuova mamma che lo accogliessero come figlio.
E intanto lo show stava terminando.
Il magico adesso è di nuovo prete.
Il suo migliore miracolo ora è di fa uscire dal fondo degli uomini tristi una fiamma di speranza e di fiducia.
Accendere la luce sul cammino delle persone perse.
La sua maggior magia che nessuno vide fu di far sbocciare nei cuori increduli un poco d’amore vicendevole e così farci incontrare l’allegria di vivere e di essere incantati dalla vita.
Lino morirà l’anno seguente a primavera, ma la sua poesia è penetrata profondamente nel mio cuore di prete e sulle note di un poema tradizionale Yorubà, ora posso dire: “Bambini della casa, vecchi della casa, uomini, donne, giovani e vecchi, chiunque vede un bambino appena nato deve essere contento.
Io sono un bambino appena nato: venite a giocare con me”.



Bolivia
L’estate, in Italia, non era ancora finita. Dal Brasile il mio viaggio continuò in Bolivia e vi arrivai in pieno inverno. Ero a 4200 metri di altitudine. A parte il freddo, ero… al settimo cielo.

Improvvisai spettacoli all’aperto sotto fiocchi di neve, al chiuso in piccole sale riscaldate da un focolare domestico, nelle chiese assiepate di gente, in teatri fatiscenti ma zeppi di scolaresche in festa, all’interno di miniere di tungsteno nell’altipiano andino, nelle foreste della pianura per i campesinos delle piantagioni di coca. Arrivai fino al confine con il Perù, seguendo il percorso dell’immenso lago Titicaca, servendomi di ogni mezzo: trenino, autobus, fuoristrada o a piedi, sempre scortato da coraggiosi campesinos che avevano il compito di difendermi da eventuali attacchi di mercenari appartenenti a “Sendero Luminoso”: la brutta copia di quello che fu il “Che”.

1994 agosto - Madagascar
Ormai ero stato contagiato… l’inerzia era stata vinta. Il morbo dei viaggi aveva preso dimora in me ed io non ne pretesi l’affitto… tanto meno ne chiesi lo sfratto. Così decisi che ogni anno, in occasione delle vacanze, sarei andato in un paese del mondo a rallegrare i bambini delle missioni salesiane e, nello stesso tempo, mi sarei ricaricato di nuova linfa vitale. Le magiche esperienze dei viaggi diventarono per me l’elisir di eterna giovinezza, o meglio, di lunga vita.

Durante l’estate del 1994 andai in Africa e precisamente nella grande isola del Madagascar. Qui, in un villaggio del Nord, all’inizio del mio viaggio mi rubarono le valige con dentro i giochi, Questo avvenne di notte, mentre dormivo. I ladri furono più maghi di me; si arrampicarono fino al secondo piano dove era la mia stanzetta, entrarono dalla finestra e mi portarono via vestiti e giochi. Almeno penso che andò così, perché svegliandomi non trovai più nulla. Non mi restò altro da fare che improvvisare un nuovo spettacolo con attrezzi raffazzonati e mantenere un rigoroso silenzio. Infatti un vero mago non può raccontare di essere stato derubato, in quanto ne andrebbe della sua fama di abile veggente. Così dovetti fare buon viso a cattiva sorte e inventai nuovi trucchi. Con tutto ciò il successo e le sorprese non tardarono ad arrivare. Verso la fine del mio viaggio nell’isola, mi trovavo nella missione salesiana di Ankililoaka. Avevo appena terminato una mia rappresentazione, quando mi si avvicinarono alcuni abitanti del villaggio. Pensai che avrei ricevuto i consueti omaggi di ringraziamento per aver fatto divertire i loro bambini, e già mi preparavo, anche esternamente, ad un benevolo sorriso di circostanza. Assieme ai complimenti però ricevetti la richiesta di un mio intervento magico presso una abitazione del loro villaggio, ma ad alcune condizioni: che il divertimento non venisse filmato e nemmeno fotografato e che inoltre terminasse col tramonto del sole, che in quelle zone tropicali avviene sempre verso le 17, 30.

Le condizioni mi parvero alquanto insolite, ma la curiosità e la voglia di far divertire sono sempre state una molla più che sufficienti all’azione, almeno per il sottoscritto. Insieme al missionario e ai miei collaboratori, raccolsi i miei giochi in una valigia e, a pomeriggio inoltrato, mi avviai vero il luogo della mia nuova rappresentazione.

Arrivando in prossimità della capanna sentii canti o voci di festa. Era un segnale di buon augurio che faceva presagire uno spettacolo di sicuro successo. Passando lungo la strada gli abitanti ci salutavano festosi con inviti augurali tipo “Salamoo...Salamee!”. Ormai mi ero abituato a farmi dare del “salam...e” da tutti.

Appena giunto, scaricai le mie valigie e chiesi dove avevano preparato per lo spettacolo. “Venga con noi”, mi dissero in lingua malgascia. E io li seguii.

Lo spazio riservato per la rappresentazione era l’atrio esterno della capanna, cioè la strada. Nulla di strano in tutto questo. Ormai ero abituato a fare le mie magie un po’ dovunque. La cosa strana, anzi anormale, era che appena fuori della capanna, proprio vicinissimo al luogo dove avrei dovuto fare lo spettacolo c’era una tavola di legno con sopra il cadavere di un uomo anziano, che in seguito seppi essere il capo del villaggio.

L’occasione della mia rappresentazione magica era dunque un funerale.

In tutti i miei anni passati di richieste “strane” per spettacoli ne avevo avute. In Italia avevo anche lavorato al mattino per i democristiani (festa dell’amicizia) e al pomeriggio per i comunisti (festival dell’unità), anticipando già allora un possibile compromesso storico e pensavo con quello di aver raggiunto il massimo; ma, certamente, questa richiesta superava tutte le altre.

Vi immaginate voi come può essere il biglietto da visita di un mago del luogo: “Disponibile per feste di piazza, compleanno, nozze e... funerali”.

Chiesi spiegazioni al missionario, l’unico che poteva darmene, anche perché non capivo la lingua degli abitanti del luogo.

“Paese che vai, usanza che trovi”, mi disse il mio amico e continuò “Vedi in queste zone è presente una forte cultura animista e per loro è importante che l’anima del morto lasci questa terra in serenità e allegria. Quindi in ogni funerale, anche se si è addolorati per la scomparsa della persona amata, l’atteggiamento esterno deve essere quello della festa. Solo così il morto si avvia sereno verso i pascoli eterni dell’aldilà. Guarda le loro capanne - continuò il missionario—sono di paglia e fieno, materiale che si consuma nel tempo. Osserva ora le loro tombe: sono di pietra e ricche di decorazioni, perché la vita dopo la morte è eterna e le anime vi devono vivere bene. Non la pensiamo così anche noi cristiani?. A me pare che con i nostri pianti e strilli siamo più portati a pensare alle cose di questa terra che alle realtà del cielo. Riempiamo di agi la nostra vita di quaggiù e poi è chiaro che ci dispiace lasciare tutto. Del resto queste sono le rare occasioni in cui i poveri del terzo mondo mangiano un po’ meglio del solito”.

Era un ragionamento a fil di logica; sicuramente, ripensandoci, era l’occasione per una più profonda riflessione sull’importanza del vivere felici, ma più ancora del morire contenti. Preparai i miei attrezzi e, dapprima con trepidazione, poi con sempre maggior partecipazione, soprattutto da parte dei numerosi spettatori, contribuii a far ridere e sorridere quella popolazione, officiando in tal modo ad un rito di vita eterna. Chissà, se con il chiasso fatto laggiù sono stato capace a divertire anche gli spiriti di lassù. Questo resta un mistero... ma a me piace pensare di esserci riuscito.

Ritornato in Italia, due giorni dopo il mio arrivo, mi recai in Trentino e precisamente a Tione per uno spettacolo di magia. Poche ore prima del mio arrivo successe un fatto di sangue. Un giovane, appartenente alla setta degli arancioni, aveva ucciso a coltellate una commerciante nel suo negozio.

Arrivato sulla piazza del paese trovai un cartello: “Per lutto cittadino lo spettacolo di magia non avrà luogo. Il comitato organizzatore si unisce al dolore dei familiari della vittima”. Paese che vai usanze che trovi...

1994 - dicembre. Nigeria
Natale con i tuoi, cioè con i miei e… i miei sono sempre stati i bambini. Cosi il Natale del 1994, passato con i bambini della Nigeria, fu senza dubbio uno dei Natali più belli della mia vita.

L’accoglienza che ebbi all’aeroporto di Lagos non si poteva certo definire benevola. Nella nazione era latente un malessere che sarebbe poi sfociato in una guerra civile e, a una certa ora della sera, vigeva il coprifuoco e per poco o nulla poteva essere applicata la legge marziale. A trarre profitto da questa situazione di precaria stabilità erano le guardie o militari, possessori di una specie di arma. Infatti, dopo ben due ore di attesa per ritirare le valige, mi si presentò una specie di militare con una pistola lanciarazzi in mano; mi mise contro un muro, dicendomi che il mio passaporto non era in regola; però se avessi versato una “piccola” somma di denaro (soli 10 dollari), potevo ritirare le mie valige. Anche se non capii il nesso tra il passaporto non valido e ritiro delle valige, pensai che non mi conveniva certo fare l’eroe… anche perché con me c’era mia sorella Daria, che, a cominciare dalle ginocchia, manifestava indubbi segni di svenimento. Tirai fuori dalla mia tasca un biglietto verde da 10 dollari e recuperai le mie valige… poi ebbi una idea brillante. Mi feci ridare il biglietto da 10 dollari, lo chiusi tra le due mani e quando le aprii si era trasformato in un santino, riproducente Padre Pio, che consegnai al militare. Si può scherzare con i fanti, ma non con i santi… infatti la guardia, anche se a malincuore, prese il santino e interpretò il gesto come una benevolenza degli spiriti. Potenza della magia o… meglio di Padre Pio.

Da allora presi la saggia abitudine di portare sempre con me, in ogni viaggio, un mazzetto di santini dei principale santi del calendario romano, compresi San Gennaro e San Giuseppe da Copertina, fluttuante a mezz’aria come un mago.

A parte questo inconveniente, la mia permanenza in Nigeria fu tranquilla e piacevole, anzi ovunque venni accolto con onori davvero regali. Nella missione di Akure, un vescovo di colore volle essere addestrato alla pratica di alcuni semplici giochi di magia per allietare le sue pecorelle. In cambio mi donò lo scettro della sua tribù. A Ondo, il re della contea si sedette in prima fila, insieme alle sue 25 mogli, per assistere al mio spettacolo di magia. Da molti fui scambiato per uno stregone o detentore di poteri diabolici… I piccoli però mi considerarono loro amico e parteciparono a migliaia ai miei spettacoli.

1995 – agosto. Filippine e Cina
Il viaggio nelle isole Filippine e in Cina fu per me come un cammino a ritroso sui sentieri del mistero e del magico primordiale. L’oriente con i suoi maghi e antiche tradizione ha sempre suscitato in me immagini mitiche e arcaiche, cariche di un fascino particolare. In Cina, ad esempio, sapevo che erano nati i più grandi maghi della storia, con i loro giochi di prestigio ancora validi tutt’oggi. Dalle isole Filippine, poi, mi giungevano notizia di miracolosi guaritori che opererebbero con il solo mezzo delle mani, asportando viscere e tumori, per poi annullare ogni traccia di ferita con un semplice tocco delle loro mani.

Al di là di questa naturale curiosità, restava fondamentale in me la scelta di incontrare e far sorridere i bimbi della terra... soprattutto di quelle terre lontane. E che fossero lontane quelle terre non lo provava solo in fatto delle 17 ore di volo, ma soprattutto la diversa e sofferta situazione sociale in cui si trovavano a vivere quelle popolazioni.

Con tutto ciò, anche in quel viaggio, subii il fascino della giovanissima popolazione delle Filippine. Ancora oggi, l’età media si aggira sui 22 anni. Una bella differenza con la nostra Europa, vecchia in tutti i sensi, anche in quello più vistoso dell’età.

In quelle isole mi divertii e feci divertire la giovane popolazione con spettacoli improvvisati nelle località più disparate: dalle scuole rigurgitanti di migliaia di giovani, alle comunità di narcocenter delle grandi metropoli, dai villaggi montani del nord con le risaie a terrazzo, alle spiagge delle isole del sud. In realtà, di fronte all’ingenuità di quella massa imponente e immobile di ragazzi che sgranavano gli occhi davanti al fiume immaginifico di trucchi e trasformismi, il primo a divertirsi fui semplicemente io.

A Tondo, uno degli Slum più poveri del mondo a Nord di Manila, dove Paolo VI fece il suo primo viaggio nel mondo, feci uno spettacolo davanti a 12.000 persone, soprattutto bambini e ragazzi, che assiepavano gli ampi cortili della parrocchia tenuta dai Salesiani. Non dimenticherò mai i loro volti, i loro sorrisi, i loro occhi … incredibilmente vivi in una terra quotidianamente sommersa dal fango e dalla piogge tropicali. Il tempo è passato… non il ricordo, avvalorato da una fotografia stupenda e spontanea che diventerà il manifesto della mia “magia per la vita”. In particolare ricordo poi un altro spettacolo a San Fernando, a nord di Manila, nella grande isola di Luzon. Qui il vulcano Pinatubo aveva lasciato ampie tracce del suo cammino devastante, trascinando a valle fango e detriti vari. In quella occasione feci il mio spettacolo di magia al secondo piano di un ampio caseggiato. Strano a dirsi e a vedersi, ma i giovani spettatori non sembravano affatto spaventati dall’acqua che ormai stagnava a piano terra, quanto piuttosto erano ammirati dai miei giochi di prestigio. Potenza della magia che, se non annulla disagi e disgrazie, ne fa dimenticare, almeno per un attimo, il triste sapore.

Questa non è che una delle tante avventure vissute durante i miei viaggi.

Con il viaggio nelle Filippine era compreso anche una sosta in Cina a Hon Kong e Macao. Era un’offerta speciale… e non volli rinunciare a questa felice occasione. Naturalmente i missionari salesiani del posto non mi lasciarono disoccupato. Feci in quattro giorni ben venti spettacoli in teatri gremiti di gente, soprattutto giovani e bambini. Era come essere messo a una catena di montaggio: dodici ore al giorno con brevi soste per docce rinfrescanti e brevi spuntini a base riso e carne in agrodolce. L’unico monumento che ebbi il tempo di visitare fu la facciata della prima grande basilica costruita dai gesuiti e dedicata a San Paolo a Macao… vera porta della Cina. Quattro secoli di storia erano scolpiti in quella facciata


1995 – ottobre.
Il giro dei miei viaggi si allargava sempre più e sovente mi trovavo a dividere la lingua italiana con quella inglese. A quel tempo il mio vocabolario britannico era essenziale: sapevo dire: “OK”… ma ero sempre “KO”. Se dicevo: “Tank you”, “Plice”, “Bay”era sempre di più di quello che, egoisticamente, molti italiani sanno dire nella loro lingua. Tuttavia questo non era sufficiente, per cui in ottobre, con l’inizio delle scuole, pensai di riprendere il cammino sospeso in giovinezza e frequentai un corso scolastico di apprendimento della lingua inglese. Andai a Londra a sciacquare i panni in Tamigi e vi restai due mesi imparando quel tanto che mi permise di presentare il mio spettacolo di magia anche in inglese.

Con molti errori e altrettanta faccia tosta diventai esperto nel farmi capire in ristoranti e aeroporti e far sorridere anche i bambini di madrelingua anglofila. Abbandonai il mio nome d’arte: “Sales”, che, in inglese sapeva più di svendita che di altro e mi presentai con il mio nome originario: “don Mantelli”. Suonava bene… Ero pronto per nuove avventure… e queste non tardarono ad arrivare.

1996 – febbraio Sud Africa
Il primo paese di lingua inglese in cui andai fu il Sud Africa. A dire il vero dovevo andare in Liberia, la missione sostenuta dai salesiani di Londra… ma, all’inizio di quell’anno scoppiò una guerra civile e la mia magia, utile a far sorridere, serviva a ben poco contro gli orrori di una guerra. Pensai di andare in Corea. Telefonai al superiore dei salesiani… ma trovai la linea occupata. Il secondo della lista era il Sud Africa. Trovai la linea libera e andai li.

In quel viaggio fui accompagnato da un mio carissimo amico: Vittorio Balli, allora presidente di uno più importanti circoli magici italiani e mio carissimo amico. Durante il periodo del seminario era stato il mio maestro di magia e da lui avevo imparato gran parte di quest’arte stupenda che ancora ora non smette di affascinarmi. Con lui avevo organizzato numerose manifestazioni, tra cui il grande raduno dei prestigiatori italiani, in occasione dei centenario di San Giovanni Bosco nel 1988 a Torino. Da alcuni anni era andato in pensione ed era, quindi, libero da impegni lavorativi.

Così decise, con mia grande gioia, di seguirmi nei miei viaggi “magici” per il mondo. Facevamo coppia fissa e non solo nello spettacolo. Diventammo presto amici. Mi trasmise due gradi valori: la capacità di meravigliare con un gioco di magia e, molto più importante, di meravigliarsi di tutto e di più… soprattutto di me stesso. A lui devo molto e quando, l’anno dopo, al termine di un nostro viaggio negli Stati Uniti, a New York, fu colto da un brutto malore che lo portò, nel giro di due anni, alla tomba, o, meglio, nel regno di “magia infinita”, mi sentii tremendamente solo.

Io penso che la nostra vita sulla terrà non sia altro che una serie di prove teatrali che ci preparano per la vera grande recita di magia infinita, in cui, la meraviglia non avrà mai fine e Vittorino, avendo assimilato la sua parte alla perfezione, fu pronto al grande debutto molto prima di me. Questo pensiero, di fronte alla perdita di una persona cara, non mi rallegra di certo... però mi da conforto e speranza nel continuare ad affrontare con serenità le »prove« della vita.

1996 aprile India

In Sud Africa, restai un mese, il tempo necessario per acquisire una discreta padronanaza della lingua inglese nel fare spettacoli.

Così in aprile di quello stesso anno ero, sempre con Vittorio, già in India, dove feci i miei spettacoli di magia in scuole di almeno tremila studenti, in ospedali, nei cortili di parrocchie strapieni di bambini in festa. In quella magica terra avevo Incontrato la gioia, ma anche tanta povertà, frammista ad altrettanta disperazione, ma mai come a Calcutta avevo sperimentato i giganteschi problemi che angustiano i poveri della terra come la fame, la malattia, l’ingiustizia la crudeltà, soprattutto l’indifferenza dei potenti.. E qui incontrai Madre Teresa… un sorriso in mezzo alla miseria. Ho incontrato questa “piccola-grande anima in una mattina di sole, in una di quelle mattine che oserei dire, parafrasando lo slogan di un noto prodotto pubblicitario, con il sorriso in bocca. Un sorriso, ma sulla faccia di un essere avvilente, come avvilente e sporco è lo slum in cui si trova la casa madre delle suore missionarie della carità in Calcutta… una città senza confini e senza barriere dove le baracche affiancano i palazzi dell’era coloniale e dovunque migliaia di persone dormono per le strade, nutrendosi di avanzi che disputano ai ratti, soffocati da un inquinamento insopportabile e sommersi dai rifiuti.

Quel mattino del 12 aprile 1996 accettai con gioia l’invito di un missionario salesiano a celebrare una messa nella cappella della casa madre delle suore della carità in Calcutta. Sapevo che sarebbe stata presente la stessa Madre Teresa.

Di tutte le messe ascoltate e celebrate nei miei anni di sacerdozio quella fu senz’altro la liturgia che maggiormente mi avvicinò a Dio.

La cappella non aveva nulla di particolarmente artistico: consisteva in un ampio stanzone spoglio di fronzoli, al primo piano, con le finestre aperte su una via del centro di Calcutta. Li, in un angolo, al limitare della porticina d’ingresso, Madre Teresa, ogni giorno alle cinque del mattino, assieme ad un centinaio di suore- missionarie della carità, assisteva alla messa, mescolando il suo canto al vociare grossolano e al rumore assordante di carri e di camion proveniente dalla strada piena di vita. Eppure, come per incanto, il rumore in quello stanzone non guastava la devozione, anzi diventava, nella messa, il canto implorante del mondo che ripeteva: »Perché?« e chiedeva un posto nella preghiera dei santi, un posto prediletto vicino alla tenerezza di Madre Teresa.

Un uomo agonizza sul marciapiede della metropoli, sfinito di stenti e di febbre. Un uomo? Domani all’alba il carro dell’immondizia pulirà la sua impronta. Oppure no. Oppure mani affettuose, accarezzano quel volto morente, lo prendono in grembo, gli parlano, lo accompagnano, gli stanno vicine.

»Perché – ci chiediamo dal nostro carro di monatti attrezzati—tanto muore lo stesso. Muore lo stesso, sì, ma come un uomo, non come un cane; e forse per lui è la prima volta che diventa un essere umano«.

Se ripenso a questa prima esperienza a me personalmente narrata, dopo la messa, da Madre Teresa, quando raccolse da una fogna aperta un uomo disfatto e coperto di vermi e lo portò a casa, sento di nuovo l’urto di questi infiniti perché che giungevano dalla strada durante la messa . E mi si pianta in cuore la risposta di quella suorina dall’aspetto di niente, curva nel sari bianco bordato di blu, con quegli incredibili occhi costantemente sereni: “Per amore, soltanto per amore”.

1996
13 aprile - Il giorno dopo e precisamente il 13 aprile ebbi la grande soddisfazione di esibirmi di fronte a Madre Teresa in persona.

Si dice che i giochi di magia piacciono ai grandi ma divertono i piccoli. Durante il mio spettacolo a Calcutta madre Teresa, più che compiacersi, si divertì un mondo… segno che il suo cuore era restato un cuore di bambino. Diversamente come avrebbe avuto il coraggio di credere nell’amore e nella povertà, come avrebbe avuto l’incoscienza di lottare contro le forze del male e dell’egoismo… come, ora, avrebbe potuto entrare direttamente in Paradiso, passando attraverso la porta dei privilegiati? “Lasciate che i bambini vengano a me, perché di essi è il regno dei cieli”.

Al termine dello spettacolo ebbi un colloquio e fui gratificato dalla sua benedizione. Mi lasciò con un foglietto su cui erano scritte date e località: Era un calendario di spettacoli nelle varie case delle sue suore e dei suoi poveri: Era diventata la mia impresaria in India. Buon segno per quando dovrò essere ammesso in paradiso. Intanto qui in terra vado avanti con la sua benedizione e il suo augurio di speranza: “Ricordati - mi disse, - che dietro le nuvole ci sono sempre mille soli”.

Così la sua testimonianza mi incoraggia ancora oggi e domani a scoprire la forza dell’uomo, la sua capacità di sognare, di credere, di trionfare anche nelle peggiori avversità.

Per me quello fu un giorno memorabile…(come scriverebbe uno studentello di primo pelo nel suo compito in classe di italiano). Avevo fatto sorridere colei che la gente chiamava ”santa” anche quando era ancora in vita. Mi ero avvicinato al cielo e, anch’io, come i molti poveri da lei aiutati, ero entrato, attraverso la sua parola, il suo saluto e l’audacia della sua umiltà nella profonda tenerezza di Dio.

Una donna coperta di misera tela,
ornata di nulla,
vestita di tutto,
vestita di Te.
Reliquia di un cuore che batte,
che soffre,
che cerca,
che spera,
che implora perdono,
anche per se…
nell’abbraccio di un bimbo che muore.



1996 - Agosto
Orami la febbre dei viaggi si era impadronita di me. Praticamente ritornavo in Italia unicamente per cambiare la biancheria. Così portavo in patria parte degli odori del mondo, che, insieme alle fotografie, davano una visione esatta di come era ed è la vita in quei paesi. Sempre proseguendo verso est, sulle strade di Marco Polo e di altri grandi esploratori io andavo alla ricerca e alla conquista di un tesoro prezioso: il sorriso dei bimbi e questo mi arricchiva sempre più. In Agosto dall'India proseguii verso la Tailandia,prima, e verso la Cambogia e il Vietnam, dopo.

In Tailandia preparai una grande illusione che avevo visto fare solo nei film: sparizione dell'elefante con bambini in groppa. Il trucco riuscì talmente bene che andò in onda sulla televisione nazionale. Ebbi subito molte offerte di lavoro. Tra le tante, un ricco mercante di Pukè, mi portò un elefante, con moglie e suocera incorporati e mi offrì milioni di bat per la sparizione dell'intero blocco. Naturalmente non gli interessava tanto la sparizione dell'elefante, quanto quella dei passeggeri a bordo.

In quella terra, con parvenza di ricchezza e benessere, che aveva persino rifiutato l'assistenza delle suore di Madre Teresa, feci molti spettacoli nelle comunità di recupero per tossici e malati di AIDS.

Se la povertà della Tailandia era nascosta e meno evidente, non si poteva dire la stessa cosa della Cambogia. Quella nazione riassumeva, a quel tempo, tutto ciò che di negativo può patire un essere umano: un genocidio messo in atto dai cambogiani stessi negli anni '70; la presenza invadente dei vietnamiti per tutti gli anni '80 e un colpo di Stato riuscito negli anni '90. La Cambogia di allora con i suoi 11 milioni di abitanti di cui l'85% viveva nelle zone rurali, produceva un reddito che non copriva nemmeno il proprio fabbisogno. L'analfabetismo riguardava circa il 65% della popolazione compresa tra i 15 ed i 19 anni; tra i giovani che terminavano la scuola elementare circa il 90% non proseguiva gli studi in quanto aveva bisogno di lavorare per sopravvivere.

la Cambogia, ancora ora, è la nazione al mondo che ha la più alta percentuale di handicappati fisici per scoppio di mine ed è annoverata tra i dieci stati più poveri al mondo. L'emergenza AIDS era preoccupante e, attualmente, è la causa principale dei decessi. La struttura sanitaria era praticamente assente(nella capitale ad esempio esisteva una sola ambulanza che dovrebbe servire oltre un milione di abitanti) e le malattie, nonché i decessi causati dalla malnutrizione erano in percentuale altissima.

La Cambogia stava allora ricominciando la sua storia, dopo decenni in cui le atrocità e le distruzioni erano state all'ordine del giorno. Un'innumerevole serie di violenze erano state perpetrate all'epoca del regime di Pol Pot contro il corpo insegnanti. Lo stesso, Pol Pot, anche se si era laureato alla Sorbona di Parigi, diceva »Tutti gli esseri umani sono uguali; quindi nessuno deve ricevere un'istruzione. Per coltivare la terra questa non è necessaria«. Su questa credenza il regime aveva portato a termine l'uccisione di chiunque svolgesse attività di insegnamento, aveva operato la distruzione di tutti i libri di testo ed aveva intentato l'eliminazione di tutte le tracce di cultura diverse da quelle del regime stesso. Questo genocidio aveva causato la morte di più di tre milioni di cambogiani e la fuga fuori dai confini del Paese di circa un milione e mezzo di persone.

La struttura scolastica locale era, quindi, inesistente o, alla meglio, inadeguata: gli insegnanti ricevevano salari molto bassi che non li incentivavano a mantenere il posto di lavoro. Il loro stipendio infatti si aggirava sui 10 dollari al mese. Inoltre avevano una preparazione in molti casi molto bassa, alcuni sapevano a malapena scrivere, e non avevano alcuna conoscenza specifica riguardo le tecniche di insegnamento.

Questo era l'ambiente in cui io cercai di presentare le mie magie e non mi stupii più di tanto se il pubblico presente aveva difficoltà a sorridere. Per la prima volta mi trovai veramente a disagio. Già con Paolino, il bimbo brasiliano incontrato nel lebbrosario di San Juliao, avevo provato questa difficoltà, ma la mi trovavo di fronte a un caso singolo. Qui, il diritto al sorriso era stato annullato e negato a un'intera popolazione e la »popolazione« che assisteva ai miei spettacoli era composta essenzialmente di bambini. Alle sera di quel mio primo giorno in Cambogia, quando fui solo, piansi. Quelle lacrime furono liberatorie per me e provvidenziali per molti bambini cambogiani. Decisi che, appena possibile, avrei iniziato un'opera di aiuto e di assistenza a quanti più bambini possibili della Cambogia.

Attualmente la mia Fondazione sta aiutando più di mille bambini cambogiani, attraverso l'opera delle adozioni a distanza e la richiesta di assistenza da parte di benefattori, si sta allargano sempre più, come una macchia d'olio, una macchia di comune solidarietà per dare un tetto, un pasto, una scuola, ma soprattutto un gesto di affetto al sorriso ritrovato di tanti bambini cambogiani.

Il mio viaggio in Asia non era ancora finito. Rimasi in Cambogia soltanto una decina di giorni. A Phnom Phen feci uno spettacolo in un monastero buddista di fronte più di cento monaci; poi varcai i confini verso est in direzione del Vietnam.

Allora e, forse ancora adesso, in Vietnam vi era una legge che vietava le assemblee pubbliche con più di dieci persone. I miei spettacoli di magia non erano certo un affare privato, così, appena fui a Saigon, aprii le mie valige e feci uno spettacolo davanti a più di mille persone, presenti anche i funzionari di partito, che, intelligentemente capirono che un sorriso non poteva certo ledere al potere proletario. Naturalmente non dovevo presentarmi come prete. Il buon Dio, mi avrà certo perdonato questo piccolo peccato di passata gioventù. Al nord del paese, dove il regime era più intransigente, ricevetti, invece, onori quasi regali.

Ad ogni spettacolo mi offrivano corone di fiori e i bambini mi venivano vicini e mi toccavano per convincersi che ero di carne e ossa. Ci fu un'occasione, in cui arrivai sul posto della manifestazione con quattro ore di ritardo. Le strade era pessime e i mezzi di comunicazione non erano da meno. Io pensavo di non trovare più nessuno, invece dovevo sbagliarmi sonoramente. Non solo non ricevetti improperi, ma fui accolto, all'ingresso del paese, da una banda musicale, poi il sindaco del villaggio fece il suo discorso e alcuni bambini mi offrirono una corona di fiori. Infine tutta la popolazione del villaggio (più di tremila persone) pretese che io mi accomodassi alla mensa preparata da ore per me e per gli altri ospiti. Prima dello spettacolo il missionario aveva programmato una messa solenne e, tutti, nessuno escluso, assistettero con una devozione encomiabile, alla celebrazione eucaristica. Con un comportamento così non mi stupii più se quella popolazione era risultata vittoriosa di fronte al sovrapotere delle truppe di occupazione coloniale sia francesi che americane. Una enorme differenza anche con i pensionati del nostro paese che inveiscono se sono costretti ad aspettare in coda presso uno sportello, prima di ritirare la loro pensione.

1996 ottobre Stati Uniti
Nell'elenco dei paesi da visitare non poteva mancare la »babilonia« delle genti; il paese a stelle e strisce. Negli Stati Uniti andai per due motivi: primo per migliorare il mio inglese e, secondo, per allargare i miei contatti con i prestigiatori del mondo. In realtà avevo sempre desiderato visitare questo stupendo paese, con i suoi grattaceli, con i suoi parchi di divertimento, con la sua varietà di popolazione e... con Topolino e Paperino, i miei eroi preferiti da sempre.

Ci andai con Vittorio Balli e vi rimasi due mesi. Fu un periodo della mia vita passato allegramente... certamente fu la più bella vacanza vacanza della mia vita... di cui non ho mai avuto rimpianti. Avevo necessità di ricaricare le mie "batterie" e quando feci il pieno, la mia vacanza era terminata. Ritornai in Italia per le feste natalizie e, con il nuovo anno, ero pronto per una grande iniziativa. In febbraio, con alcuni collaboratori salesiani e benefattori laici fondai una Associazione per la difesa dei diritti dei bambni nel mondo: era l'Associazione Mago Sales. I Salesiani mi diedero persino una nuova sede, sempre in via Paisiello, al secondo piano di uno stabile di ben 800 metri quadri. Qui iniziai a depositare i miei ricordi e, in breve sorse un vero e proprio museo della magia, una biblioteca magica, unica in Italia. Iniziai una scuola... naturalmete di magia, fondai un giornalino dal titolo: "Sim Sales Bim" e mi misi nel commercio equo, magico e solidale: aprii, cioè, una casa magica per corrspondenza. Comperavo giochi di prestigio e di gicoleria dall'India e li rivendevo in Italia a missionari e giovani prestigiatori. Il ricavato naturalmente andava in opere di soidarietà. Riuscii persino a costruire un dispensario in Nepal.

1997 aprile Pakistan e Nepal

Andai in Nepal la prima volta nell'aprile del 1997 con un'organizzazione italiana per le adozioni internazionali dal nome un po' strano NAAA, ma molto ben organizzata. Il viaggio prevedeva una sosta in Pakistan, a Karaci e qui fui protagonista di una vicenda incredibile e inimmaginabile... ai giorni nostri.


LA VERA STORIA DI KALIM
Una telefonata mi svegliò nel cuore della notte. Ero alloggiato all’Hotel Marriott nel centro di Karachi in Pakistan. »Always in the right place at the right time« (siamo sempre nel posto giusto al momento giusto) diceva lo slogan di benvenuto dell’albergo. Purtroppo tale rassicurante affermazione, letta distrattamente il giorno prima, arrivando dall’Italia, mi sembra ora molto poco attuale, certamente un po’ provocatoria… e il seguito di questa mia avventura ve lo dimostrerà. “Hello!”, dissi stancamente, sollevando la cornetta del telefono.
Chi mi chiamava era una persona molto influente del consolato italiano a Karachi. L’appello e l’invito che mi giungevano dall’altro capo della linea telefonica fu l’inizio di una incredibile e tremenda vicenda, che non pensavo assolutamente potesse ancora succedere sulla terra. La richiesta fu senza mezzi termini: “Dobbiamo partire immediatamente perché ci è giunta una nuova segnalazione”, mi dissee la voce al telefono, “Se vuoi, puoi venire con noi. Così saprai finalmente che quello di cui abbiamo parlato l’altra sera è tremendamente vero”.

Dopo una breve lotta tra due M: materasso e mobilità, vince in me la curiosità. Un’ora dopo ero a bordo di un fuoristrada che, dopo aver attraversato velocemente le vie deserte di Karachi, si avviò lungo una strada polverosa, fiancheggiata da distese coltivazioni di cotone. La meta era top secret. Sapevo soltanto che distava ben 6 ore di macchina dalla capitale e che stavamo percorrendo la strada lungo la piana dell’Indo che portava a nord verso Hiderabad, nella regione del Sind.

Per allentare la tensione che pesantemente avvolgeva la nostra comitiva, la guida accennò ad alcune note di un allegro canto afgano... ma, data la situazione, sembrava più un lamento funebre che un canto di gioia. Dopo una veloce sosta al ristoro di un villaggio, arrivammo a destinazione. Lasciammo la macchina al bordo della strada e ci avviammo lungo un sentiero che si destreggiava tra aridi campi disseccati. La nostra guida ci disse che da mesi non pioveva in quella regione e il vento del sud aveva ormai bruciato l’intero raccolto di frumento. I nostri occhi erano testimoni di una povertà estrema, segnata sui volti dei numerosi abitanti del villaggio. I bimbi sembravano i macilenti personaggi di una favola di Dickens fine ottocento, e i vecchi parevano ridicoli contorsionisti nel tendere la mano che un tempo veniva offerta unicamente al saluto, ma ora, per necessità, veniva tesa per richiedere soccorso e elemosina. La fretta ci fu di guida. Così senza rispondere ai saluti dei bimbi e alle richieste degli anziani, entrammo in un capanno di latta e stracci. L’odore sgradevole di umanità, o meglio la puzza di sporco frammista al caldo stagnante, ci prese alla gola, ma fu presto annullata dalla angosciante sensazione che provammo alla vista di un gruppo familiare stremato dalla fame e dalla vergogna di dovere accettare il ricatto di un ignobile mercante. Finalmente la persona che mi aveva interpellato al telefono svelò il motivo della nostra spedizione al villaggio. Eravamo venuti per riscattare un bimbo; cioè per comperarlo, naturalmente ad un prezzo poco superiore di quello che sta per essere offerto da un mercante di schiavi arabo. Il raccolto della terra era andato perso a motivo della siccità e i contadini della regione, non avevano neppure i soldi per pagare il debito contratto dal proprietario dei terreni a seguito dell’acquisto della semente e degli attrezzi agricoli… Quindi quella famiglia si rassegnava a pagare il debito vendendo un figlio. Una prassi tremendamente normale presso la popolazione di quei villaggi abitati esclusivamente dalla tribù non mussulmana dei Bagri. Un tempo, prima della rivoluzione del 56, tale popolo era molto ricco e possedeva praticamente tutte le terre tra il fiume Indo e il confine indiano. A seguito della riforma e conseguente rivoluzione islamica gli Indù o i non mussulmani che non vollero fuggire in India, furono praticamente spodestati delle terre e costretti a lavorare come schiavi a servizio dei nuovi padroni islamici. Quella volta il debito contratto era molto alto: 3.000 dollari. Tanto serviva per riscattare Kalim, il bimbo di appena cinque anni. Il prezzo venne pagato al padrone del terreno e noi diventammo “proprietari” di un bimbo. In effetti Kalim verrà portato in un istituto di Karachi,gestito da un gruppo di giovani focolarine, dove fu curato e assistito. Kalim fu il primo bimbo “comperato”, nel vero senso della parola e aiutato dalla nascente Associazione Mago Sales a ricuperare la gioia della vita. Il cammino, però, era soltanto iniziato. Ancora ora, infatti, la cessione di bambini per il pagamento dei debiti avviene tra tutte le popolazioni o tribù del Pakistan, siano esse mussulmane che non mussulmane. I bambini venduti diventano schiavi o prostitute oppure vengono mutilati per l’accattonaggio. A volte vengono rivenduti e vengono mandati nei paesi del Golfo per impieghi analoghi. E’ risaputo che dall’India vengono comperati da parte di ricchi possidenti dei paesi o emirati arabi, bambini indiani, perché costituzionalmente molto piccoli e leggeri, al fine di essere usati come fantini nelle innumerevoli corse con i cavalli… Sport tristemente noto per le enormi scommesse in denaro, proprio di quei paesi. Attualmente sembra che il mercato di bimbi sia in continuo aumento nel mondo, Si dice che ogni mese dal porto di Karachi parta una nave con circa tremila bimbi: destinazione ignota, come ignota è sicuramente la fine che faranno tutti questi innocenti. In una piazza di Karachi un’organizzazione umanitaria islamica denominata Edhi ha costruito una culla di pietra, coperta da un tettuccio di latta, su cui c’è scritto: “Do not kill” (non ammazzare). Il riferimento e l’invito è rivolto alle mamme o a coloro che pur non volendo più un bambino, sentano la necessità di non disfarsene, buttandolo in un cassonetto della spazzatura. Ogni notte vengono deposti nella culla dai 3 ai 10 bimbi e prontamente il custode, nascosto in una stanza accanto, accorre, al trillo di un campanellino, per prelevare i neonati. Nessuno ha mai saputo che fine facciano quei bambini e non si vuole pensare il peggio… Certo è che il sistema islamico non accetta “l’istituto delle adozioni!”.


1997 agosto - Brasile Amazzonia
In Brasile ci andai la seconda volta nell’estate del 1997 e “approdai” a Manaus, nel cuore dell’Amazzonia. In questa città, infatti, si arriva solo con “approdi”: o per cielo, o per fiume. Siccome mi avevano riferito che i primi missionari vi erano arrivati attraverso le acque dopo un viaggio durato sei mesi, guadando fiumi immensi e torrenti con cateratte spaventose, preferii servirmi dell’aereo. Ci arrivai così sano e salvo… soprattutto con l’animo allegro per sfoderare le mie magie tra merenghe a carioca. Troppo sovente il Brasile ci viene presentato come terra di carnevale e pan di zucchero. Invece, anche se non è più considerato un paese del terzo mondo, esso ha un indice di criminalità e povertà giovanile molto elevato. I ragazzi di strada, chiamati “meninos de rua”, sono un fenomeno in continuo aumento nelle grandi città del Brasile e, Manaus, come altri centri dell’Amazzonia, non faceva certo eccezione. Però qui i ragazzi che, ancora ora, vivono nella strada, organizzandosi in bande e sfruttando ogni espediente possibile per vivere, hanno un loro paladino di difesa: è il padre salesiano belga don Bento Lefevre, che io ho incontrato in uno dei tanti “centri pro menor” da lui creati a servizio e vantaggio dei bambini di strada. Io penso che Padre Bento sia “la madre Teresa dei bambini poveri dell’Amazzonia, dove è presente un tipo di povertà diversa da quella dei bambini indiani, ma pur tuttavia, non meno deprimente e devastante. Padre Bento “approdò” in Amazzonia molti anni fa e subito l’amore che egli nutriva per i giovani e per i ragazzi lo stimolò ad interessarsi alle loro condizioni sociali di vita, prima ancora che alle loro appartenenze religiose. Restò subito fortemente impressionato come un gran numero di bambini fosse sfruttato attraverso il lavoro di vendita per le strade dai numerosi fabbricanti della città. Subito raccolse presso di sé un numero discreto di questi bambini (dieci in tutto) e propose un diverso sistema di vendita. Comprò un frigorifero e produsse dei ghiaccioli; poi invitò i ragazzi a confezionarli e a venderli per le strade. L’intero guadagno, detratte le spese, venne ripartito tra di loro. Fu subito un successo. Dopo un mese i ragazzi diventano 40. Usando tutta la sua immaginazione e tenace operosità per creare nuove opportunità di fabbricazione e di vendita dei nuovi prodotti, padre Bento cercò aiuti finanziari dentro e fuori del paese. Con queste “sovvenzioni della provvidenza” comperò dei tricicli per il trasporto veloce della merce, comperò nuovi macchinari… aumentarono i frigoriferi e allo stesso tempo aumentarono anche i ragazzi. Presto alla gelateria, si affiancò una panetteria, poi un laboratorio di meccanica, di scultura e ancora una fabbrica di caffè.
Dopo pochi anni i centri si moltiplicarono. Quando io visitati il centro di Manaus, questi erano presenti nei più grandi centri di ben cinque stati del Brasile. Il secondo centro pro menor che ebbi il piacere di visitare fu quello di Humaità, culla del progetto umanitario di padre Bento. Anche lì, naturalmente aprii le mie valige e presentai la mia magia confrontandola con quella spontanea dei ragazzi brasiliani.. di quelli che andavano con piacere alla scuola… perché era una scuola diversa, una scuola di vita. Allora capii che si poteva essere maghi, anche senza fare i trucchi di magia, senza usare la bacchetta magica… bastava avere il coraggio di amare i ragazzi e di credere nella provvidenza. Un tempo nella piccola cittadina di Humaità c’erano centinaia di ragazzi di strada. Nel 1997 erano scomparsi: magia di un padre salesiano e meraviglia… anche per un mago come me.

1997 Novembre - NEPAL
In Nepal ci andai la seconda volta in occasione del Natale del 1997. Il re aveva un orfanatrofio a Katmandù... In realtà non sapeva di averlo; lo aveva probabilmente reditato dai suoi discendenti e a gestirlo era un ente governativo con a capo un bramino che si vantava di saper fare dei giochi di prestigio. Il nome dell'orfanatrofio è »Balmandir«. Io avevo conosciuto il bramino nel mio precedente viaggio e lui si era mostrato molto interessato ai miei giochi.

Al momento dell'addio ci eravamo lasciati con una promessa: lui avrebbe pubblicizzato il mio spettacolo nel reale teatro di Katmandù ed io sarei ritornato per proporre le mie magie ai dignitari dello Stato, compresa la famiglia reale... Naturalmente l'incasso sarebbe andato, corruzione pernmettendo, a vantaggio dei poveri orfanelli. Non era passato un anno dal nostro addio e il bramino aveva mantenuto la sua promessa. Così a novembre dello stesso anno, io ero nuovamente alle falde dell'Himalaia, in quel paese stupendo.

Sembrava tutto programmato, ma, il destino o, meglio, la provvidenza aveva ben altri intendimenti e fece deviare il mio »cammino teatrale« verso lidi ben differenti... certamente più vantaggiosi per i bambini del mondo e per me.

Infatti, a sorpresa, alcuni giorni prima del mio arrivo era arrivato nel paese il più grande mago-prestigiatore dell'India, famoso in tutto il mondo: il grande Sorgar Junior, figlio del grandissimo Sorcar senior e aveva allestito il suo spettacolo nello stesso teatro reale di Katmandù, naturamente,davanti all'intera famiglia reale. Le repliche poi si erano ripetute per più settimane e... quando io arrivai, lo spettacolo era ancora in programmazione. Così, a me non restò altro da fare che assistere allo spettacolo, complimentandomi con il grande artista. Il giorno dopo incontrai un gruppo di medici e infermieri che operavano, con un programma di prevenzione sanitaria a vantaggio dei bambini, nella zona del Tarai, una regione molto povera al confine con l'India. L’associazione mago Sales propone e chiede una raccolta di fondi per l’acquisto di vitamina A e E da distribuire ai bambini nepalesi della regione del Tarai. Attualmente in questa regione ci sono più di 200.000 bambini tra i due e i sei anni che sono colpiti da malattie per i vermi, quali dissenteria, per mancanza di Vitamina A e E. Il costo di una dose di vitamina è di 36 rupie (equivalente a Lire 1.000) ed è valida per sei mesi. Inoltre una sola dose può essere somministrata a ben tre bambini dai due a cinque anni.

Quindi… con solo 1.000 lire
(meno di una merendina)

puoi ridare al salute ad un bimbo per un anno.

QUESTA E’ VERA MAGIA

Molti, soprattutto artisti prestigiatori, hanno già iniziato a collaborare, mediante offerte e proposte, ma molto resta ancora da fare. Per aiutare il mago Sales a vincere questa battaglia, potete inviare le offerte mediante Conto Corrente Postale n. 37533106. L’associazione Mago Sales sarà presente alla fiera del libro di Torino dal 21 al 25 maggio ’98, anche per proporre questa magia umanitaria. Intanto ringrazia la redazione del Maurizio Costanzo show per l’aiuto e il sostegno generosamente offerto attraverso la trasmissione

Buon natale a tutti: ai belli e ai brutti, ai dirigenti e ai dipendenti, ai piccoli e ai grandi, ai simpatici e ai gelosi, ai maghi e ai teatranti … a voi che amate la mia commedia, la musica, la poesia e l’illusione.
Buon natale a tutti… soprattutto ai bambini del mondo: a quelli che voi avete aiutato a vivere meglio il dono della vita; a quelli che, con un vostro prossimo contributo, potranno, ora, frequentare un corso di studi o semplicemente correre liberi su un prato.

Vi scrivo questa lettera dalle colline del Tarai, al confine con l’India, in Nepal, dove ho portato il contributo di molti di voi che hanno scelto di salvare i bambini colpiti da dissenteria per mancanza di vitamine. Domani farò le mie magie in un villaggio di nome Lumbini, luogo di nascita del Buddha. Per i bambini che incontrerò sarà certamente un natale di vita.

1998 Agosto - ANTILLE

UN BICCHIERE DI LATTE AL GIORNO
PER I BAMBINI DI HAITI
(sottoscrizione natalizia… non a premi)

Per questo nuovo anno abbiamo scelto i bambini di Haiti. E’ stata una scelta obbligata… data la povertà in cui vive la maggior parte dei bambini di questo stato, considerato il terzo popolo più povero della terra, dove la mortalità infantile si aggira sui 103 per 1000, dove il 43% dei bambini soffrono di malnutrizione e il grado di alfabetizzazione è al di sotto del 50% (rapporto UNICEF 1997). Io, mago Sales, sono stato in questa parte dell’isola nel mese di agosto per fare i miei spettacoli di magia ed ho visitato la “cité du soleil”, il quartiere più povero della capitale, dove, da anni, lavorano i salesiani, aiutati da numerosi volontari.

Qui i figli di Don Bosco hanno iniziato un’opera di recupero dei bambini più poveri, attraverso centri di alfabetizzazione e di avviamento al lavoro. In queste scuole più 10.000 bambini trovano ogni giorno un maestro, una mano amica, un quaderno e un bicchiere di latte. Data la situazione ambientale, estremamente povera, ad un mago non si poteva che chiedere una magia: quella della solidairetà.
La nostra proposta e l’impegno dell’associazione è stata quella di coprire il fabbisogno di latte per i 10.000 bambini della cité du soleil per la durata del prossimo anno 1999. Il costo totale annuo è di 200.000.000 di lire.
Una stupenda magia per preparci a vivere meglio l’ormai prossimo anno 2.000.
Sappiamo che la cifra “suona” molto alta e stonata se divisa per pochi benefattori. Confidiamo però nella sensibilità dei molti. Pensate con sole 20.000 lire potete offrire un bicchiere di latte ad un bimbo per la durata di un anno. Un bicchiere di latte al giorno per i bambini della “Citè du soleil” di Haiti.


Buon Natale a tutti

1999 Giugno - ALBANIA


2000: Giubileo di pace – Anno di ringraziamento
Benedico il Signore per avermi creato; ringrazio i miei genitori per avermi amato e per avermi fatto nascere. Mi ritengo veramente fortunato per le persone che ho incontrato, che mi hanno aiutato a coltivare questa stupenda passione per il teatro e per la prestidigitazione.

Infatti attraverso la magia, come spettacolo, ho avuto l’occasione di conoscere personaggi stupendi, di incontrare migliaia di giovani e ragazzi, di viaggiare attraverso luoghi e nazioni che mi sarebbe stato impossibile visitare normalmente. Così è stato per la Somalia, un nazione che ha trovato solo recentemente un barlume di pace e tranquillità. Quando mi recai nel giugno dell’anno 2000, il paese era ancora in guerra per odi tribali.

Dopo un volo di circa due ore con un aereo della comunità europea atterrai su una pista di sabbia nei pressi del mare. Di qui, scortato da ben sei militari armati fino ai denti, venni condotto nel villaggio del SOS, un’organizzazione austriaca che lavora, nel mondo, a vantaggio di bambini orfani e bisognosi.

Qui, il pomeriggio seguente, feci il mio spettacolo alla presenza di più di mille persone, fra bimbi, dipendenti e gente locale.

Uno spettacolo come tanti… ma uno spettacolo che certo non dimenticherò facilmente. Il calore affettivo con cui venni accolto fu stupendo; l’attesa era visibile sul volto di tutti: piccoli e grandi e ovunque si respirava un’aria, oserei dire, magica.

Ma più di ogni altra cosa, furono le parole di un medico somalo a rendermi pienamente felice e dare importanza ai miei piccoli gesti di istrione magico. Ebbene Pasquale (questo era il nome di quel medico: un nome che gli era stato dato nella sua infanzia quando frequentava un collegio gestito da frati francescani di origine italiana) si rivolse a me, al termine dello spettacolo con queste commosse parole: “Caro amico, ti ringrazio perché in quest’ora di spettacolo, vedendo i bimbi sorridere e la gente divertirsi come non mai, io ho dimenticato tutti gli orrori di questa nostra inutile guerra. Erano dodici anni (dall’inizio del conflitto) che io non ridevo così a lungo. Grazie… amico, per avermi ridonato la gioia del sorriso!” Quando lo abbracciai sentii le sue lacrime sulla mia spalla… lacrime di gioia… le prime dopo tante altre di sofferenza e di paura.

Io allora pensai a tutte le cose belle che sappiamo fare e che abbiamo il dovere di dare a coloro che incontriamo… senza interesse, perché questo non diventi un lavoro e quindi una fatica, ma si realizzi con l’entusiasmo e il coraggio di una libera scelta donata.

Il mattino dopo, al momento della mia partenza, salutato dal coro festoso dei numerosi bambini dell’istituto, Pasquale mi si avvicinò e mi salutò con una richiesta: »Mago… ti prego, non mollare; continua così! Porta la gioia dei tuoi giochi a quanti più bimbi possibile… Allora la tua vita non sarà passata invano«. Lo salutai con un abbraccio e ci lasciammo con una promessa: »Certamente, con l’aiuto di Dio e con la collaborazione di tanti amici, faremo qualche cosa di grande per i piccoli della terra«.

Contenuti e obiettivo (una proposta che sta diventando realtà)

Durante la manifestazione di maghi e giocolieri presso il luogo natio di Don Bosco (maggio 2002) è stata tenuta a battesimo da parte di don Silvio (mago Sales) un nuovo progetto denominato »Magiciens Sans Frontières«.

2003 febbraio ETIOPIA

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